Visualizzazione post con etichetta F1. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta F1. Mostra tutti i post

martedì 2 maggio 2023

Il debutto in Formula 1 della Dallara



- di Massimo Campi
- Immagini ©Massimo Campi; ©Raul Zacchè/Actualfoto

Il 1° maggio 1988 ad Imola, Alex Caffi corre con la Dallara 188, la prima monoposto di Formula 1 realizzata a Varano de' Melegari, schierata dalla BMS Scuderia Italia

I motori e le auto da competizione sono una delle grandi passioni di Giuseppe Lucchini, presidente della Lucchini Sidermeccanica SpA, una delle più importanti industrie siderurgiche italiane. L’appassionato manager bresciano nel 1983 fonda la Brixia Motor Sport che inizia a gareggiare nel World Touring Car Championship. La grande svolta arriva nel 1988, quando Lucchini decide di schierare una monoposto per il campionato Mondiale di Formula 1 e si rivolge a Giampaolo Dallara per la costruzione della vettura. Intanto viene cambiato anche il nome della scuderia che, da Brixia Motor Sport, diventa BMS Scuderia Italia. L’unione tra la struttura bresciana e l’ingegnere parmense porterà al debutto della Dallara Automobili nella massima espressione dell’automobilismo mondiale. A Varano de' Melegari sin dall’estate del 1987 fervono i lavori, ma la vettura non è pronta per la prima gara stagionale del 1988 ed in Brasile la squadra bresciana debutta con una monoposto di F3000 adattata alle specifiche di Formula 1 con Alex Caffi alla guida.

La nuova Dallara 188 è progettata dall’ingegnere argentino Sergio Rinland, con un passato alla Brabham, che disegna una monoposto abbastanza convenzionale e facile da gestire. Per avere un baricentro il più basso possibile le sospensioni anteriori e posteriori sono del tipo pull-rod, ed anche il profilo del muso molto appuntito, e delle pance laterali si presenta decisamente basso.

Il motore utilizzato è il V8 Cosworth DFZ, la nuova unità prodotta dalla factory inglese con il ritorno ai motori aspirati di 3,5 litri. La stagione 1988 è l’ultima in cui è possibile utilizzare i motori turbo, che equipaggiano principalmente le monoposto di McLaren/Honda e Ferrari, mentre i team più piccoli si sono già convertiti ai nuovi aspirati che diventeranno i propulsori protagonisti delle stagioni successive.

L’utilizzo dei motori aspirati facilita il compito degli aerodinamici, ci sono molti meno accessori da installare nelle pance ed alle spalle del pilota, con un grande miglioramento dell’efficienza aerodinamica. La Dallara è una delle prime fabbriche ad avere una galleria del vento interna che è servita allo studio della nuova monoposto di Varano de Melegari. Il retrotreno presenta un profilo estrattore non particolarmente esasperato, mentre la superficie dell’ala anteriore, di tipo biplano è munita di bandelle laterali di grandi dimensioni. La superficie sotto l’ala anteriore è abbondante per generare più deportanza possibile, uno schema adottato dalla Dallara ed in seguito esasperato dalla Tyrrell 019 del 1990. Tra le caratteristiche aerodinamiche ci sono le doppie bandelle per indirizzare i flussi dell’aria sulle pinze freno.

La stagione della BMS Scuderia Italia si apre con una mancata qualifica nella prima gara con la Dallara 3087 derivata dalla F.3000 ed equipaggiata ancora con il vecchio DFV di 3.0 litri. Il 1 maggio 1988, prima gara europea e seconda della stagione, la nuova monoposto italiana debutta ad Imola con Alex Caffi alla guida. La Dallara 188 con il V8 di 3.5 litri si classifica al 24° posto nelle prove facendo un tempo migliore della Zacspeed turbo di Ghinzani e della Eurobrun di Modena. La gara dura poco con il pilota bresciano costretto alla resa per una avaria al cambio. Negli altri Gran Premi stagionali la Dallara 188 supera sempre tranquillamente le prequalifiche, uno degli scogli maggiori per un team piccolo ed esordiente. In prova è quasi sempre entro i primi 20 ma l’affidabilità è il tallone d’achille della vettura che finisce solo sette gare su 15 partenze. Spesso ci sono problemi di surriscaldamento dovuti alle piccole masse radianti installate nelle pance, ma anche problemi alla trasmissione ed ai freni che impediscono alla Dallara di ottenere risultati di rilievo. Il miglior gran premio è quello dell’Estoril, con Alex Caffi che sfiora la zona punti con un settimo posto alle spalle della McLaren di Ayrton Senna.











martedì 14 febbraio 2023

F1: Arturo Merzario mattatore al SF23 Valentine’s Day di Ruote da Sogno


Reggio Emilia, 14 febbraio 2023 - In una atmosfera di grande passione ed entusiasmo è andato in scena oggi presso l’atelier motoristico Ruote da Sogno, il SF23 Valentine’s Day che ha calamitato piloti, stampa, personalità dell’automobile, riunite per seguire e commentare il lancio della nuova monoposto Ferrari, che tenterà la conquista dei titoli Costruttori e Piloti F1 2023.

Sono intervenuti, Arturo Merzario, il più grande pilota italiano di F1 in attività con 85 GP disputati, pilota ufficiale Ferrari in F1 e nei prototipi, vincitore della Targa Florio, della 1000 Km di Spa e di altre decine di gare in tutto il mondo. Con lui Andrea Montermini, il pilota che ha trascorso più ore col sedere appoggiato su una Ferrari di F1, con oltre 14.000 Km di test percorsi, pilota con Scuderia Italia, Benetton, Pacific Lotus, Forti e altri team, oggi impegnato nel GT Open, Tonino Lamborghini, figlio del fondatore e presidente della Tonino Lamborghini SpA e Armando Laschi, presidente dello Scuderia Ferrari Club Modena.

Durante il talk show condotto da Stefano Bergonzini e Veronique Blasi, Merzario ha dichiarato «La Ferrari ha costruito il suo mito con le macchine Sport e coi Prototipi, perché l’essenza della competizione automobilistica sono le corse di durata, poi sono arrivate F1, F2, GT, Can Am e altro. Il fiore all’occhiello per ogni Casa costruttrice è progettare Prototipi e correre a Le Mans, per questo vorrei rimarcare la scelta della Ferrari di tornare in questa serie e di debuttare con la 499P a Sebring il 17 marzo prossimo. Tutti noi dell’ambiente stiamo aspettando questo debutto con grande trepidazione. Parlando di F1 vedo una Ferrari più forte dell’anno scorso che potrà avvalersi anche del trasferimento di esperienze e tecnologie provenienti dal World Endurance. Se la Ferrari vincerà sarà merito soprattutto del gruppo che aveva portato la macchina a vincere alcune gare l’anno scorso. A Vasseur tocca il compito di ottimizzare questo lavoro».

Andrea Montermini ha spiegato che «Il Campionato F1 2023 è completamente aperto, perché non solo la Ferrari è migliorata ma anche le altre Case da quanto si apprende hanno fatto step evolutivi importanti. Credo che il cambio di leadership a Maranello sia stato importante per evitare di non incorrere in vecchi errori. Parlando di WEC, dalla mia esperienza posso dire che c’è una grossa differenza tra correre a Le Mans e partecipare al resto del Campionato Endurance dove ha un ruolo molto importante in famoso BOP il balance of performance, come abbiamo visto poche settimane fa a Daytona. Sarà un anno bello, divertente, molto importante per il mondo delle corse».

Dopo il talk show gli ospiti hanno potuto ammirare le straordinarie Ferrari Classiche esposte, tra di esse una 250 Gran Turismo Coupè Boano Low Roof “Alluminio” del 1956, la 195 Inter Ghia Coupè del 1951, la 308 GTSi del 1981 Blu Sera, la 208 GTS Turbo del 1984 e la 599 GTB Fiorano. 

(Studio Bergonzini Comunicazione)

sabato 28 gennaio 2023

ACI avvia la fase 2 della vendita dei biglietti per i GP di Formula 1 di Monza e Imola



Lunedì 30 gennaio, l’Automobile Club d’Italia avvierà la seconda fase di vendita dei biglietti per le due tappe italiane di Formula 1 della stagione 2023: Gran Premio del Made in Italy e dell'Emilia Romagna - sesto round della serie iridata, giunto alla 4^ edizione, in programma dal 19 al 21 maggio presso l’Autodromo Internazionale Enzo e Dino Ferrari di Imola - e Gran Premio d’Italia, giunto alla 94^ edizione, che si svolgerà dall’1 al 3 settembre all’Autodromo Nazionale Monza, come quindicesimo round.

Dopo la prevendita natalizia – che, in pochi giorni, ha fatto registrare numeri record: 27mila biglietti venduti per i due eventi – l’ACI rende ora disponibile un nuovo stock di 150mila biglietti suddivisi nei tre giorni dell’evento: 60 mila per il GP d’Italia a Monza, 90 mila per il GP del Made in Italy e dell'Emilia Romagna ad Imola.

I biglietti potranno essere acquistati sui siti web www.monzanet.it e www.autodromoimola.it, nonché sul sito web www.TicketOne.it. Parallelamente e fino ad esaurimento, proseguirà la vendita dei biglietti riservati ai Soci ACI.


Foto di Raul Zacchè - Actualfoto

lunedì 16 gennaio 2023

Lotus 79: la rivoluzione ad effetto suolo


di Massimo Campi – immagini Raul Zacchè/Actualfoto

La stagione 1978 costituisce un capitolo importante nell’era della F.1 moderna, la Lotus 79 vince, domina i gran premi e si impone con netta superiorità sulle altre monoposto consentendo a Mario Andretti di vincere facilmente il titolo mondiale. Era la prima wing car, ovvero una vettura con il profilo aerodinamico ad ala rovesciata, nella storia delle corse. Le sue principali caratteristiche erano la ridotta altezza da terra, le minigonne ed il passo molto più lungo rispetto alle altre vetture. Riusciva a sfruttare l’effetto suolo grazie ai due canali Venturi all’interno delle fiancate, una soluzione tecnica che condizionava fortemente le linee di questa vettura.

A partire dal 1978, proprio grazie a questa vettura, l’identificazione tra la monoposto e l’aeroplano divenne abituale grazie all’intuizione di quel genio che era Colin Chapman. “Per anni abbiamo sfruttato l’aria che scorreva sopra la monoposto, bloccando i flussi che scorrevano sotto. Con questa vettura invece sfruttiamo i flussi che scorrono sotto la vettura, canalizziamo i flussi sotto la vettura per generare una azione deportante che produce un campo di pressione aerodinamica sul veicolo. L’aria viaggia sotto la vettura e vicino al suolo, il fenomeno migliora l’aderenza dei pneumatici, migliora la stabilità e la sicurezza.” Con queste parole il patron della Lotus spiegava ai giornalisti i principi progettuali della Lotus 79.

Il punto di forza della monoposto era proprio l’aderenza in curva che consentiva ai piloti di viaggiare con traiettorie più redditizie e una maggiore velocità in curva rispetto alle altre monoposto tradizionali. L’effetto aerodinamico, con il conseguente miglioramento dell’aderenza in curva, aumentava esponenzialmente con l’aumentare della velocità, più le curve erano ad ampio raggio, quindi veloci, e più aumentava la depressione aerodinamica verso il suolo permettendo al pilota di viaggiare più rapidamente. Il segreto era gelosamente nascosto nei cassoni laterali, frutto di esperimenti iniziati tre anni prima e sviluppati in galleria del vento. La monoposto era progettata come se fosse un’ala di aereo rovesciata con le minigonne che sigillavano le fiancate laterali per impedire la fuoriuscita accidentale dell’aria sui fianchi che veniva espulsa dalla parte posteriore. Il profilo alare rovesciato si estendeva per tutta la lunghezza delle fiancate e le minigonne a contatto con l’asfalto intrappolavano l’aria generando la depressione di elevata intensità causata dall’aumento della velocità dei flussi all’interno.

La tecnica di guida venne modificata con l’avvento delle wing car. Le traiettorie dovevano essere il più costanti possibili, il rollio della vettura era praticamente nullo per poter sfruttare i valori di aderenza che erano superiori di almeno il 15% rispetto alle vetture tradizionali. La rivoluzione tecnica della Lotus 79 ha riguardato profondamente anche la meccanica. Con questa vettura è cambiata la disposizione dei pesi e delle masse, uno schema che viene sfruttato ancora oggi. L’abitacolo viene avanzato fino all’asse anteriore, le fiancate contengono solo i radiatori, mentre il serbatoio è spostato dietro il posto guida tra l’abitacolo ed il motore per poter avere le fiancate libere.

La carreggiata anteriore è molto larga, 1,73 metri, per consentire una larga sezione di entrata dell’aria, varia notevolmente anche il passo, 2,74 metri, quasi 20 cm in più rispetto alla Ferrari. Il retrotreno aveva ingombri molto contenuti, grazie agli scarichi del DFV Cosworth posti in alto, sempre per consentire il più regolare passaggio dei flussi d’aria in uscita dal fondo della monoposto.

L’idea di Chapman era una evoluzione dei principi già espressi anni prima dalla March 701, che aveva introdotto la fiancate ad ala rovesciata, contenenti i serbatoi laterali della benzina, ma senza capire l’importanza di chiudere completamente le fiancate e sigillarle con le minigonne come era stato poi fatto con la Lotus 79. La genealogia delle vetture ad effetto suolo nasce però ben tre stagioni prima, quando Chapman decide di mandare in pensione la vecchia Lotus 72, giunta ormai alla fine della sua gloriosa carriera. Già nel 1975 il patron della Lotus aveva intuito i vantaggi della deportanza e coinvolse nel progetto i tecnici Ralf Bellamy e Tony Rudd, mentre gli studi aerodinamici vennero affidati a Peter Wright, che aveva già collaborato con Rudd ai tempi della BRM. La prima Lotus ad effetto suolo è la tipo 78, la vettura realizzata da Ralf Bellamy e dalla matita di Martin Oglive, che prese il via nella stagione 1977. i concetti delle wing car erano già espliciti in questa vettura, che aveva un telaio stretto, con i condotti laterali venturi, ma non aveva ancora le fiancate sigillate dalle minigonne ed aveva bisogno di una messa a punto. La superiorità della Lotus 78 si fece manifesta nella parte centrale della stagione, in cui vinse ben 4 gran premi, ma la mancanza di costanza nei risultati pregiudicò la stagione della Lotus, che arrivò comunque seconda nel campionato costruttori alle spalle della Ferrari, vincente con Lauda. La Lotus 78 inizia la stagione da protagonista nel 1978, vincendo in Argentina ed in Sud Africa, ma quando debutta, a Zolder il 21 maggio, la nuova Lotus 79, si capisce subito che la fabbrica inglese ha fatto il salto di qualità e per la rimanente parte della stagione ci sarà poco da fare per gli avversari, ridotti a comparse contro lo strapotere di Mario Andretti.

La Lotus 78 aveva una deportanza maggiore del 15% rispetto ad una vettura tradizionale, pur con le minigonne realizzate da semplici spazzole che strisciavano sul terreno. Con la 79, concepita integralmente attorno all’efficienza aerodinamica, con le minigonne costituite da bandelle in plastica che sigillavano le fiancate lateralmente, senza causare la fuoriuscita accidentale dell’aria , i valori di deportanza salirono ad oltre il 30% rispetto ad una vettura tradizionale. Per ottenere la tenuta di strada, la 79 poteva usare alettoni ridotti rispetto alla concorrenza, riuscendo ad ottenere anche alte velocità in rettilineo, per disponendo del V8 DFV Cosworth che vantava potenze inferiori di 30-40 cv rispetto ai dodici cilindri Ferrari, Alfa Romeo e Matra, ed al nuovo V6 Turbo Renault che faceva il suo esordio in F.1. Il vantaggio tecnico della Lotus durò una intera stagione, Mario Andretti vinse il suo titolo mondiale, anche se per la fabbrica inglese non è stata una stagione completamente felice a causa dell’incidente mortale di Ronnie Peterson a Monza.

L’azzardo delle wing car venne rappresentato dalla Brabham BT46B di Gordon Murray e Carlo Chiti, con l’applicazione della ventola che risucchiava l’aria dal fondo scocca spacciata come ventola di raffreddamento. Accortosi della rivoluzione introdotta da Chapman, Gordon Murray si ricordò dell’esperimento condotto da Jim Hall con la Chaparral Can Am, che aveva due ventole nel cofano posteriore per aspirare l’aria sotto la vettura e tenerla inchiodata al suolo. Lauda vinse il gran premio di Svezia, ma la Brabham venne subito vietata, perché disponeva di un sistema aerodinamico mobile, e quindi vietato per regolamento, ma soprattutto per la grande massa di polvere, sassi e quant’altro che sparava dal posteriore sugli avversari.

Tutti gli altri costruttori in breve tempo hanno dovuto adeguarsi agli standard tecnici della Lotus 79. Per la prima volta nella storia delle corse è la conformazione aerodinamica e non la meccanica a condizionare la progettazione di una monoposto. L’evoluzione delle wing car è stata così rapida che in pochi anni si sono raddoppiati i valori di aderenza in curva. Pur con tutte le limitazioni regolamentari introdotte negli anni successivi, ancora oggi, sulle moderne monoposto, vengono sfruttati i principi aerodinamici di deportanza introdotti dalla Lotus 79.

immagini Raul Zacchè/Actualfoto





mercoledì 14 dicembre 2022

Porsche e gli inizi in Formula 1


di Massimo Campi – immagini ©Raul Zacchè/Actualfoto e ©Massimo Campi

La Porsche è nota per i suoi successi, soprattutto nella gare di durata dove ha vinto più di tutti ed ogni volta che si è impegnata, dalla fine degli anni ’60 in poi, ogni progetto è stato vincente. Il rapporto tra la casa di Stoccarda e la Formula 1 invece è stato più complesso, ha contribuito ai successi della McLaren negli anni ’80 come fornitore del motore turbo, ma quando si è impegnata da sola non ha mai raggiunto gli obiettivi prefissati.

Il debutto nella massima formula avviene nel 1957, quando la Casa tedesca partecipa a 77 Gran Premi, fino al 1962, ottenendo anche una vittoria. Negli anni ’50 la Porsche era ancora una piccola realtà, che si stava affermando nel panorama motoristico mondiale con vetture sportive solide, dai costi contenuti, adatte ai gentleman driver che si sfidavano la domenica sui vari circuiti. La prima notorietà internazionale coincide con una tragedia, quella di James Dean la giovane star hollywodiana che perse la vita a bordo di una 550 Spyder su una strada provinciale americana mentre si recava ad una corsa. Dean era considerato un simbolo per gli adolescenti e la sua Porsche viene idealizzata diventando celebre quanto il suo defunto pilota.

La piccola spider tedesca è una vettura molto efficiente, facile da gestire e riparare e da quella base nascono versioni sempre più spinte. Iniziano le grandi vittorie per la casa tedesca, alla Carrera Panamericana ed alla Targa Florio, e nel 1957 viene realizzato il modello 718 e la RSK. Da quella vettura nasce una monoposto di Formula 2 con la stessa concezione meccanica. La monoposto è equipaggiata dal quattro cilindri di 1,5 litri montato posteriormente con la trasmissione a sbalzo ed ottiene buoni risultati già nel 1958. Con le Porsche 718 ed il successivo modello 787, corrono e vincono piloti del calibro di Stirling Moss, Graham Hill, Wolfgang Von Trips, Phil Hill, Dan Gurney e Jo Bonnier.

Visti i risultati diventa breve il salto nella Formula 1 con la stessa vettura. La Porsche 718F1 debutta nel 1961 con Dan Gurney e Jo Bonnier, il pilota americano sale tre volte sul secondo gradino del podio e termina quarto nel mondiale. Nel 1962 la Porsche realizza la nuova 804 con un telaio sempre di tipo tubolare in acciaio, nuove sospensioni e il motore a 8 cilindri boxer che sviluppa 184 cv a 9200 giri. L’alimentazione viene affidata a 4 carburatori Weber doppio corpo, che però faticano a garantire una buona erogazione di potenza ai bassi regimi. Come tradizione Porsche il motore è raffreddato ad aria con la ventola posizionata nella zona superiore del propulsore, la distribuzione ha due alberi a camme in testa, con 2 valvole per cilindro. Le sospensioni sono indipendenti a barre di torsione, l’impianto frenante è composto da quattro dischi di tipo Porsche, mentre la trasmissione è a sei rapporti più retromarcia e dotata di un differenziale autobloccante. Il serbatoio del carburante contiene 150 litri e il peso della monoposto completa arriva a toccare i 452 chilogrammi.

La Porsche risulta tecnologicamente vecchia rispetto alle monoposto inglesi che stanno dominando le gare con monoscocche in lamiera di alluminio e motori già dotati di iniezione al posto dei carburatori. Nonostante ciò la 804 arriva il giorno della grande affermazione al Gran Premio di Francia del 1962 a Rouen con Dan Gurney, una bella vittoria con l’americano che si impone sul sudafricano Tony Maggs al volante della Cooper Climax, che giunge al traguardo con un giro di ritardo. Un successo facilitato anche dal ritiro delle Lotus/BRM di Clark ed Hill. La settimana successiva arriva una nuova vittoria, nel Gran Premio di Solitude, prova non valida per il Mondiale, con Gurney che si impone sulla Lotus dello scozzese. Dopo quelle vittorie la Porsche 804 coglie un terzo posto, conquistato sempre dall’americano Gurney nel Gran Premio di casa della Porsche al Nurburgring, e poi un quinto a Watkins Glen. Per l’altro pilota della scuderia, lo svedese Jo Bonnier, solo due arrivi a punti, che corrispondono al quinto posto nel Gran Premio di Monaco e ad un sesto in quello d’Italia sul veloce circuito di Monza. Gurney è quinto nel mondiale, ma a Stoccarda non credono più nel programma di Formula 1 e la squadra Porsche System Enginering viene ritirata a fine stagione dal mondiale. La Porsche si dedica ai nuovi programmi con le vetture a ruote coperte che porteranno ai grandi successi degli anni ’70 con la 917, mentre, fino al 1964, alcuni privati utilizzano le 718 nei Gran Premi iridati non raccogliendo però risultati di rilievo.

La Porsche, dopo le affermazioni mondiali con le ruote coperte, ritorna nella massima formula dopo due decenni, come motorista quando il V6 turbo studiato dall’equipe dell’ingegner Mezger e finanziato con il supporto degli arabi della TAG, è montato sulla McLaren dando vita a un binomio vincente per tre stagioni, con due titoli Costruttori e tre Piloti conquistati fra il 1984 e il 1986.

Successivamente la stessa Porsche realizza un V12 aspirato, utilizzato brevemente dalla Footwork nella stagione ’91. Il progetto si rivela pesante e inaffidabile, tanto che a metà campionato il team britannico lo abbandonò in favore del Ford Cosworth DFR V8. I tedeschi realizzano per l’anno successivo un V10 più facile nella gestione degli ingombri e ovviamente meno pesante. Anche questo si rivela un fallimento e la Porsche abbandona la Formula 1.


domenica 11 settembre 2022

F1 a Monza, foto di Raul Zacchè/Actualfoto (domenica)

Autodromo Nazionale Monza, 11 settembre 2022
Gran Premio d’Italia F1

Foto di Raul Zacchè/Actualfoto
riproduzione riservata