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venerdì 6 ottobre 2023

La Lancia Rally 037 conquista il quinto Mondiale Costruttori al Rally di Sanremo 1983.



Torino, 6 Ottobre 2023 - “La Lancia Rally 037 rappresenta appieno l’animo del marchio, fatto di forme geometriche radicali, unite a un design elegante ed esclusivo, che danno vita a una vettura sempre pronta a superare ogni ostacolo. Una caratteristica che le ha permesso di entrare nell’immaginario collettivo. Il successo ottenuto esattamente quarant’anni fa resta ancora oggi un momento storico per il Rally: una vera e propria impresa che ha consacrato il modello nell’Olimpo delle vetture immortali. Non a caso, la Lancia Rally 037 è una delle nove vetture che ispireranno i modelli futuri nel nostro percorso di Rinascimento.” ha dichiarato Luca Napolitano, CEO del marchio Lancia.

Il 7 ottobre 1983 rappresenta davvero una data memorabile per il marchio Lancia, un giorno incancellabile negli occhi e nel cuore di tutti gli appassionati delle corse: la Lancia Rally 037 trionfa infatti al Rally di Sanremo e si aggiudica, con due gare d’anticipo, il quinto Campionato Mondiale Costruttori della sua storia. Un risultato strepitoso per una tappa interamente “firmata” dal marchio italiano, che contava ben quattro vetture nelle prime cinque posizioni finali: con Markku Alen, Walter Röhrl e Attilio Bettega sul podio, ed un giovanissimo Miki Biasion al quinto posto alla guida di una Lancia Rally 037 - Jolly Club.

Una vera e propria impresa, considerando i valori tecnici e la potenza dei modelli in gara: a differenza delle sfidanti, che potevano già contare su vetture a trazione integrale, la Lancia Rally 037 era dotata di trazione posteriore. Non a caso, a distanza di quarant’anni, si tratta di un risultato che non si è mai più ripetuto nella storia delle corse.
La vittoria di Sanremo sancisce infatti l’inizio di un periodo d’oro per il modello: in pochissimo tempo, la Lancia Rally 037 è in grado di incantare milioni di tifosi in tutto il mondo e di conquistare, oltre al Mondiale Costruttori, anche il secondo posto nel Mondiale Piloti con Walter Röhrl e il Campionato Europeo ed Italiano con Miki Biasion, che da lì a poco avrebbe gareggiato anch’egli sotto le insegne della scuderia ufficiale Lancia Martini.

Quella della Lancia Rally 037 è una storia di eccellenza dell'automobilismo italiano.
L’esordio ufficiale era avvenuto nel 1982, in occasione della 59° edizione del Salone dell’automobile di Torino, con la versione stradale. Caratterizzata da 205 cavalli, un carburatore doppio corpo e sovralimentazione tramite compressore volumetrico, la vettura era stata progettata in previsione dell’entrata nel mondo del rally.
Sono 200 gli esemplari prodotti per ottenere l’omologazione nella categoria rally Gruppo B.
La Lancia Rally, meglio conosciuta con la sigla di progetto “037”, è in realtà una sportiva pura in ogni suo dettaglio con forme “funzionali” e decise, sia nel frontale che nel posteriore, e un “calice” dalle linee spigolose che ne fanno un simbolo delle competizioni Rally. È chiara la derivazione dalla Beta Montecarlo, una compatta coupé, a motore centrale e dall’impronta sportiva tipica degli anni 70. A partire da questa base, tutto nella Lancia Rally 037 contribuisce a valorizzare l’animo sportivo: lo stile aggressivo, il carattere brutale ed efficiente. Gli interni, minimalisti e razionali, sono la quintessenza della competizione, così come alcune “appendici” aerodinamiche sul montante e sulla coda, tra cui un vistoso spoiler posteriore che la rende ancora più performante.

Lo spirito indomito della sua originale struttura mista viene “vestito” di classe, grazie ad una carrozzeria aggressiva ed elegante al contempo, in grado di conferire un importante carico aerodinamico verso il suolo. Per raggiungere la massima efficienza, viene realizzata in poliestere con rinforzi in vetroresina, mentre i due leggerissimi cofani, motore e baule, possono essere smontati integralmente.
Proprio questo equilibrato connubio tra due anime così differenti, già caratteristico della leggendaria Stratos, fa di Lancia Rally 037 una delle nove vetture iconiche della storia del Brand che ne hanno ispirato i modelli futuri, a cominciare da Lancia Pu+Ra HPE, il manifesto del marchio per i prossimi 10 anni: una concept car 100% elettrica che incarna la visione del marchio in termini di design, interior home feeling, sostenibilità, elettrificazione ed effortless technology. Nel Concept Lancia Pu+Ra HPE, infatti, si ritrova un design con un gioco costante tra purezza e radicalità che rimanda fortemente all’essenza della Lancia Rally 037.


mercoledì 27 settembre 2023

Lancia Stratos celebra 50 anni dalla prima vittoria internazionale al Tour De France Automobile del 1973.



“Oggi celebriamo i 50 anni dalla prima vittoria di Lancia Stratos, una delle vetture da Rally più vincenti di tutti i tempi, definita dal pubblico la “bête à gagner"”. Insieme a 037 e Delta, la Lancia Stratos è diventata una leggenda nel mondo dei Rally. Ma non solo. Lancia Stratos rappresenta una delle vetture più iconiche della storia di Lancia, una vettura brutale ed efficiente, con elementi di design fondamentali, che sono entrati nell’immaginario collettivo e che ci hanno guidando nel disegnare le vetture del futuro di Lancia: i fari posteriori rotondi, la forma aerodinamica e il color blocking degli interni.” ha dichiarato Luca Napolitano, CEO del marchio Lancia.

Esattamente cinquant’anni fa, il 25 Settembre 1973, la Lancia Stratos scriveva il primo capitolo in quella che sarebbe diventata una storia memorabile. Nel 1973 viene infatti iscritta alle competizioni, ancora tra i prototipi e viene guidata dalla coppia Munari-Mannucci. A settembre dello stesso anno ottiene la sua prima vittoria internazionale al Tour De France Automobile. Un successo che segue il primo trionfo, quello conquistato nell’aprile dello stesso anno nel Rally Firestone, e che sarebbe stato precursore di un percorso incredibile. La Lancia Stratos diviene infatti una vera e propria mattatrice dei rally, inanellando una vittoria dopo l’altra: la vettura vince per 3 volte consecutive il Rally di Monte Carlo, 3 volte il Campionato Mondiale Costruttori, dal ‘74 al ‘76 e ancora 3 nell’Europeo Piloti. Grazie alla Stratos, Munari vince nel ’77 anche la Coppa FIA Piloti Rally.

E, a partire dalla stagione sportiva 1975, sfoggia i colori bianco e verde dello sponsor Alitalia con il logo tricolore della compagnia aerea, sdoppiato ed armonizzato a forma di cuneo per creare una delle livree più belle della storia del Motorsport.

In occasione di questa ricorrenza, il Circuito di Remparts d'Angoulême ha organizzato un apposito evento, nello storico percorso della Nuova Aquitania, ospitando auto d’epoca, mostre e raduni d’eccezione, alla presenza di numerosi ospiti, tra i quali l’ex pilota Bernard Darniche, che ha legato indissolubilmente il proprio nome alla Lancia Stratos, alla guida della quale ha conquistato due Campionati Europei Rally e ben quattro delle sette prove vinte in carriera nell’ambito del Campionato del Mondo Rally.

La Lancia Stratos è decisamente una vettura “brutale ed efficiente”, nata appositamente per vincere e in grado di rompere gli schemi, perché così diversa dai modelli dell’epoca. Ispirata al prototipo “Strato’s Zero” del 1970, la versione definitiva della Lancia Stratos viene presentata l’anno successivo. Tutto, in questa vettura dalla futuristica forma a cuneo, è progettato per i rally: il frontale è affilato e si armonizza con i passaruota, mentre il parabrezza inclinato ingloba il montante anteriore e prosegue nei vetri laterali. Il tetto scende verticalmente sul piccolo lunotto posteriore, che è avvolto dal grande cofano motore. Cofano e baule, costituiti da due leggeri gusci, sono comprensivi dei rispettivi parafanghi, con un’apertura ampia per un rapido intervento durante l'assistenza di gara. Sul posteriore spiccano i fari rotondi e un alettone aggressivo, mentre il motore è un sei cilindri a V della Dino 246 Ferrari. Ma Lancia Stratos è rivoluzionaria anche negli interni, completamente centrati sul guidatore e pensati per ottenere risultati ed emozioni: due posti secchi e solo due vani per i caschi da corsa, elemento distintivo anche della versione stradale. Il cosiddetto “colour blocking” degli interni crea continui giochi di contrasti per un eclettismo tutto Lancia, attraverso l'utilizzo dei colori primari, blu, rosso e giallo.

Proprio questo fascino “di rottura” rispetto all’epoca ha consacrato il modello come icona storica anche da un altro punto di vista: quello del design. Elementi quali i fari posteriori rotondi, l’alettone aerodinamico e l’abbinamento eclettico dei colori primari nell’abitacolo, rendono la Lancia Stratos un modello dal design avveniristico e ancora oggi contemporaneo. Non a caso, si tratta di una delle nove vetture storiche del Brand che hanno ispirato Lancia nella realizzazione dei modelli futuri.

Il perfetto equilibrio tra forme geometriche primarie e massima prestazione, distintivo delle storiche vetture Lancia, Stratos, 037 e Delta, è uno degli elementi essenziali che sono stati conservati e rivisitati nel disegnare le vetture del futuro Lancia. Un dialogo continuo tra passato e futuro che si ritrova già in Lancia Pu+Ra HPE, il manifesto del marchio per i prossimi 10 anni, una concept car 100% elettrica che incarna la visione del marchio in termini di design, interior home feeling, sostenibilità, elettrificazione ed effortless technology. Il Concept Lancia presenta, nella parte posteriore, proprio iconici fanali rotondi che rappresentano un chiaro rimando all’anima più brutale e radicale del marchio ed alla leggendaria Lancia Stratos.

venerdì 22 settembre 2023

Surtees TS20, l'ultima Formula 1 di “Big John”



di Massimo Campi 
Immagini © Raul Zacchè/Actualfoto

Da pilota a costruttore, è questa la storia di alcuni piloti e tra questi c’è anche John Surtees, l’unico ad avere conquistato titoli mondiali con le due e le quattro ruote. “Big John” è stato un personaggio poliedrico, ha dimostrato di saperci fare al volante, ma la sua storia come costruttore non è stata altrettanto famosa. Dopo avere conquistato sette titoli mondiali con le motociclette MV, debutta al GP Montecarlo Formula 1 del 1960 alla guida di una Lotus. La sua avventura con le auto prosegue nei due anni successivi, nel 1961 con la Cooper e nel 1962 con la
Lola, dove viene notato da Enzo Ferrari, grande sostenitore dei piloti di estrazione motociclistica. 

John Surtees arriva a Maranello per la stagione 1963 ed inizia vincendo il GP di Germania e nel 1964 è campione mondiale con la rossa. Però il rapporto con il Drake si incrina a causa di un incidente con una Lola e nel 1966 si rompono definitivamente i rapporti dopo l’ultima vittoria di Surtees con il cavallino rampante. Il “figlio del vento” emigra in Inghilterra, finisce la stagione 1966 alla guida di una Cooper-Maserati vincendo il GP del Messico.
In seguito Surtees continua al volante della Honda nel 1967 e 1968, per poi pilotare la BRM nel 1969, ma è già pronto il suo team per la Can Am e per le monoposto. Il debutto del Team Surtees è per la stagione 1970, inizialmente con delle McLaren ma dal 1971 John Surtees corre con le monoposto che recano il suo nome ed infine, in chiusura della stagione 1972 si ritira dallo sport attivo.

La Surtees Racing Organization viene fondata nel 1966, il team, oltre alla Formula1 ha partecipato anche ad altri campionati internazionali come la Formula 2, nella quale conquista il titolo Europeo con Mike Hailwood, nella Formula 5000 e nella CanAm. La prima monoposto di Formula 1 è la Surtees TS7 che debutta al Gran Premio di Gran Bretagna 1970. Seguono varie monoposto: la TS9 del 1971, con cui Mike Hailwood conquista il 4° posto al Gran Premio d’Italia. L’ex campione motociclistico arriva secondo a Monza anche nel 1972 con la TS14, e sarà il miglior risultato di sempre della scuderia. Nelle stagioni successive ci sono diverse versioni delle vetture schierate in gara, dalla TS14 alla TS19, ma nessuna monoposto è mai riuscita a raggiungere i vertici della categoria. 

Infine per il 1978 fu approntata la Surtees TS20. Progettata dallo stesso John Surtees con Ken Sears, la TS20 è una monoposto con monoscocca in
lamiera di lega leggera spinta dal Ford Cosworth DFV con cambio Hewland FGA400 e pneumatici Goodyear.
Esordisce al GP di Monaco 1978 con Vittorio Brambilla senza riuscire a qualificarsi. Durante la stagione la situazione migliora, Brambilla nel GP d’Austria conquista l’unico punto iridato della TS20, ma a Monza rimane coinvolto nell’incidente di Ronnie Peterson alla partenza. A fine stagione in Team Surtees chiude i battenti, la scarsa competitività della vettura, i costi sempre più alti e la mancanza di sponsor validi costringono alla resa anche Big John. Con l’arrivo dei grandi costruttori ci sono sempre meno posti per i team minori e manca quindi il mercato per i piccoli costruttori che hanno riempito gli schieramenti vendendo le loro monoposto ai clienti paganti.
In nove stagioni, durante le quali ha sempre adottato il motore Cosworth, la Surtees ha conquistato 2 podi, tre giri veloci e 53 punti oltre qualche vittoria in gare non comprese nel calendario iridato. Sono molti i piloti che sono entrati nell’abitacolo di una Surtees, sia della squadra ufficiale che nei vari team satelliti. Le scarse prestazioni e a volte la mancanza di sponsor consistenti non consentivano una presenza costante dei piloti nel team; alcuni rinunciavano, altri venivano licenziati, altri ancora erano piloti con la valigia, utili a rimpinguare le casse del team. 

Oltre al boss ed anche pilota John Surtees, con le vetture inglesi hanno corso nella massima formula: Mike Hailwood, Rolf Stommelen, Brian Redman, Tim Schenken, Andrea De Adamich, Carlos Pace, Luiz Bueno, Jochen Mass, Josè Dolhelm, Derek Bell, Jean Pierre Jabouille, Dieter Quester, Helmuth Koinigg, Dave Morgan, Brett Lunger, Alan Jones, Conny Andersson, Noritake Takahara, Vittorio Brambilla, Hans Binder, Larry Perkins, Patrick Tambay, Vern Schuppan, Lamberto Leoni, Rupert Keegan, Gimax , Beppe Gabbiani, Renè Arnoux.






Immagini © Raul Zacchè/Actualfoto


martedì 15 agosto 2023

Vittorio Brambilla in 5 foto di Raul Zacchè

 Foto Raul Zacchè 

riproduzione riservata 








martedì 18 luglio 2023

1983, il ritorno della Honda in Formula 1




di Massimo Campi

Immagini Raul Zacchè/Actualfoto


La Honda e le corse è da sempre una immagine iconica nel mondo nel motorsport, soprattutto con le due ruote, ma anche con le quattro. Vincere il titolo mondiale di Formula 1 è sempre stato un sogno tanto rincorso dai giapponesi della Honda che hanno iniziato a correre in Formula 1 sin dagli anni sessanta. Tanti sforzi come costruttore, qualche successo con John Surtees, infine il dramma di Jo Schlesser al GP di Francia 1968, hanno fatto finire l’avventura del sol levante come costruttore di monoposto da competizione.


Dopo i successi con i titoli mondiali conquistati con le moto, i giapponesi decidono di rientrare nel mondo delle auto e lo fanno in punta di piedi, come motoristi, partendo dalla Formula 2, sull’esempio della Renault. Alla fine degli anni ’70 l’ingegnere Nubuhito Kawamoto il capo del settore ricerca e sviluppo progetta una unità sei cilindri due litri a V con una particolare angolatura di 80° ed una rapporto alesaggio/corsa molto spinto.


Il 2 litri Honda RA263 di Formula 2 ha un alesaggio da 90 mm ed una corsa molto corta ed eroga circa il 17% di potenza in più rispetto alla concorrenza. Il motore Honda è fornito al neonato Team Spirit Racing fondato nell’agosto 1981 da Gordon Coppuck e John Wickham, ex dipendenti March. La Spirit è al via del Campionato Europeo Formula 2 del 1982 con la 201 progettata da John Baldwin ed i piloti Stefan Johansson e Thierry Boutsen, l’auto è stata un successo immediato, conquistando la pole in otto dei 13 round del campionato, e vincendo tre gare con Boutsen che ha lottato per il titolo con March di Corrado Fabi.


All’inizio degli anni ’80 la Honda ha in programma nuovi modelli di auto, ed irrobustire la propria rete commerciale a livello internazionale. Dati gli ottimi risultati della Formula 2, colse la palla al balzo per seguire la stessa strategia della Renault ed utilizzare la risonanza del mondiale di Formula 1 come mezzo di propaganda commerciale.


Sulla base del V6 di Formula 2 nasce il nuovo Honda RA163E di Formula 1 per il 1983, mentre la Spirit realizza la nuova monoposto, una evoluzione della Formula 2, che verrà portata in gara da Stefan Johansson. Kawamoto affida il progetto ad un pool di ingegneri capeggiati da Mamoru Haji che realizzano il V6 di 1,5 biturbo. Haji disegna il propulsore  esasperando ulteriormente il rapporto alesaggio/corsa su indicazione di Kawamoto, lasciando inalterato il valore dell’alesaggio (90mm) ma riducendo in maniera sensibile la corsa al valore di 39 mm. Per i turbocompressori la Honda si affida alla giapponese HIH che entra per la prima volta nel mondo della Formula 1 con le sue turbine sfidando KKK e Garret da anni presenti sul mercato. I due turbo, uno per bancata sono accoppiati a due intercooler che raffreddano l’aria di alimentazione.


La Spirit-Honda esordisce il 16 luglio 1983 al GP di Gran Bretagna. L’RA163E è un motore molto brusco nel’erogazione di potenza ed inizialmente soffre di grossi problemi di affidabilità, mentre la monoposto dimostra subito i suoi limiti non essendo adatta alla potenza molto più elevata rispetto alla formula cadetta. La Spirit riesce a sfiorare la zona punti in Olanda, ma intanto la Honda riesce a convincere Williams per la fornitura dei motori. Sir Frank cogli subito l’opportunità al volo, una fornitura di motori gratis con un grande costruttore è una grande occasione e nell’ultima gara stagionale 1983 in Sudafrica debutta la Williams-Honda piazzando le proprie vetture in sesta e decima posizione in qualifica, mentre in gara ottiene due punti grazie al quinto posto di Keke Rosberg, mentre Laffitte si ritira dopo un testacoda. Da questo risultato nasce un accordo che porterà il binomio Williams-Honda alla conquista di due titoli mondiali costruttori ed uno piloti per poi passare alla McLaren di Ron Dennis.

Luglio 1977: il debutto del turbo in Formula 1



di Massimo Campi

Immagini ©Raul Zacchè/Actualfoto



Il 14 luglio è la giornata della Festa Nazionale Francese, il giorno della “Presa della Bastiglia”. Ma è anche quello, nel 1977, che ha debuttato la Renault Turbo nelle prove del GP di Inghilterra. Fu un inizio molto seguito, ma la scelta non era stata programmata: il giorno del debutto non doveva essere questo “giorno di festa nazionale francese”. Il motivo era semplicemente che la Renault ha ‘evitato’ il Gran Premio di casa della settimana precedente, perché il motore aveva ancora molti problemi di affidabilità.


Il GP di Gran Bretagna del 1977 segna una pietra miliare storica. Non solo è stato il primo GP in assoluto per la Renault, ma è stata anche la prima gara in assoluto per un motore turbo. L’inizio sarà tra lo scetticismo e l’ironia degli addetti ai lavori, con il V6 che sbuffa e subito si ferma in una nuvola di fumo, ma con tenacia, il turbo si fa strada e ben presto tutto cambierà nella tecnologia di costruzione della monoposto. La storia del debutto Renault inizia anni prima, ed il sogno francese inizia con un programma per la conquista della 24 Ore di Le Mans, partendo dal V6 aspirato di 2 litri che corre e vince in Formula 2. Il motorista Dudot monta una turbina in sala prove sul sei cilindri. La potenza è di oltre 500 cv, quanto un motore di Formula 1, ed alla Regie iniziano a sognare in grande. La barchetta va forte, il principale obbiettivo è la vittoria nella maratona francese che verrà conquistata in seguito nel 1978 con l’Alpine A442 Renault Turbo, affidata al giovane Didier Pironi ed all’esperto Jean Pierre Jassaud. Intanto prende il via  il programma per la Formula Uno, viene ridotta la cilindrata da 2,1 ad 1,5 litri ed il 14 luglio 1977.


Jean-Pierre Jabouille ha portato in pista la nuova Renault nelle qualifiche del venerdì e sabato. Il venerdì ha avuto una partenza un po’ difficile perché ha rotto due turbo. Per fortuna sabato è andato tutto bene. Alla fine Jabouille ha messo a segno una buona prestazione con il 21esimo posto, a circa 1,3 secondi dalla pole. Era più o meno in linea con quello che si aspettavano considerando il chilometraggio e la loro esperienza in F1. Jabouille ha avuto un buon inizio di gara, ma ben presto il collettore della presa d’aria ed il francese è dovuto rientrare ai box. Il team è riuscito a cambiarlo velocemente per farlo ripartire, ma poi il turbocompressore Garrett è andato per soli 16 giri. È comunque iniziata una nuova avventura per la Regie Francese che cambierà la tecnica delle Formula 1.


Immagini © Raul Zacchè/Actualfoto

riproduzione riservata 






domenica 4 giugno 2023

March 881, la prima sfida in Formula 1 di Adrian Newey




di Massimo Campi

Immagini © Massimo Campi e Raul Zacchè/Actualfoto


La March-Leyton House è una monoposto che ha lasciato il segno nella Formula 1 degli anni '80. Una monoposto rivoluzionaria, con il V10 Judd aspirato, che ha saputo competere con le migliori vetture turbocompresse. La prima vettura è stata la 881, per la stagione 1988, ed è rimasta nella storia anche per essere la prima monoposto di Formula 1 progettata da un giovane Adrian Newey.


La storia della March Leyton House gravita attorno a due figure: Cesare Gariboldi ed Akira Akagi, il proprietario della Leyton House, una agenzia immobiliare giapponese. Gariboldi, team manager della Genoa Racing, vince il campionato 1986 di F.3000 con Ivan Capelli. Il pilota milanese, corre con la monoposto, realizzata dalla March, sponsorizzata dall'agenzia immobiliare giapponese. La March 86B monta il V8 di tre litri e Capelli conquista il campionato con due vittorie e diversi piazzamenti battendo Emanuele Pirro, anche lui con la March 86B e Pierluigi Martini con la Ralt RT20.


"Una avventura nata in modo molto anacronistico rispetto ai giorni odierni – così ricorda Ivan Capelli la sua avventura nella formula cadetta – nel 1986 sono tra i primi nel campionato di F.3000 che poi andrò a vincere. Ad Imola vado molto bene nelle prove e dopo il turno di qualifica incontriamo il responsabile della Bridgestone, che conosceva molto bene Gariboldi e ci presenta un anonimo signore giapponese che sembrava un turista, alto, imponente, tutto vestito di bianco, con una macchina fotografica al collo. Era Akira Akagi, il proprietario della Leyton House, una azienda immobiliare, che aveva anche un team di F.2 in Giappone. Il pilota giapponese della squadra era morto in un incidente stradale, Akagi stava cercando un sostituto che fosse disposto a correre nel campionato giapponese ed era rimasto impressionato dalla mia prestazione. Rimasi un po' perplesso, fu subito trovato un accordo ma imposi ad Akagi anche la presenza di Gariboldi al mio fianco ed in cambio, a parte i rimborsi spese, chiesi anche il 40% dei premi eventualmente vinti per poi finanziare le corse in Europa. Akagi mi strinse la mano e così partì il primo accordo per disputare alcune gare in Giappone. Io e Cesare salimmo sull'aereo, ovviamente classe economica per risparmiare, arrivammo a Suzuka, vidi per la prima volta la macchina e la pista, subito feci la pole position. In gara finii secondo dietro a Satoru Nakajima, grande mattatore delle corse nella terra del sol levante che sfruttò meglio le gomme. Era il primo podio per la Leyton House, ed il mio arrivo fece grande scalpore, allora non c'erano italiani in Giappone, ed oltre al sottoscritto gli unici stranieri erano Geoff Lees e Stefan Joahnsson.  Akagi era felicissimo, mi sponsorizza anche in F.3000 e con Gariboldi abbiamo il budget necessario per andare a vincere il campionato."



Dalla vittoria in Formula 3000 nasce l'operazione Formula 1 – "A fine stagione abbiamo un incontro con Akagi, voleva che corressi con lui in Giappone per la stagione successiva. Eravamo a cena in un ristorante, ed io iniziai a bleffare dicendo che avevo avuto diversi contatti importanti per correre in F.1 e non mi interessava correre in F.2 giapponese. Cesare Gariboldi mi guardava esterrefatto e preoccupato, non riusciva a capire dove volessi arrivare! Akagi mi voleva offrire un contratto di 200.000 dollari più tutte le spese per continuare a correre con la sua squadra. Continuai a rifiutare la sua offerta fino a quando mi chiese quanto costava correre in F.1. Iniziai a snocciolare le varie richieste economiche che normalmente le squadre chiedevano per riempire di scritte le varie parti della monoposto, ma Akagi aveva un'altra visione e ad un certo punto chiese quanto costava acquistare e fare correre una monoposto, in pratica voleva sapere il costo per mettere insieme un team. Guardai Gariboldi negli occhi, non sapevo più cosa dire, Cesare capì al volo la situazione e sparò la richiesta del budget necessario di quattro milioni di dollari, una cifra immensa per l'epoca. Akagi mi fece solo una domanda: Ivan sei convinto di correre in F.1? Ovviamente la mia risposta fu affermativa, Akagi mi strinse la mano e disse "okey, allora siamo in F.1".


La prima vettura è progettata da Gordon Coppuck che modifica il telaio della F.3000 adattandolo al Ford Cosworth V8 DFZ di 3,5 litri. La March 871 debutta al GP di San Marino e sarà una stagione travagliata con molti ritiri ed un solo punto in classifica con Capelli che giunge sesto nel toboga di Montecarlo, sfruttando le doti di coppia del V8 aspirato.


La grande svolta tecnica arriva nel 1988 con la nuova monoposto, la March 881, progettata da Adrian Newey, che già lavorava in March dal 1981 e si era dedicato alle monoposto per Indy. Il progettista di Stratford Upon Avon realizza una monoposto estrema con un telaio dalla linea stretta e affusolata, in netto contrasto con le convenzionali March degli anni precedenti. La March 881, colorata dalla caratteristica livrea "Miami blue", ha un abitacolo strettissimo, in cui Capelli fa fatica ad entrare. Il tutto in nome dell'efficienza aerodinamica e come motorizzazione ha il V8 Judd il più potente aspirato della categoria, l'unico in grado di poter affrontare i potenti turbo delle squadre di vertice.


L'assetto della 881 è estremamente rigido, tanto che sul rettilineo del Casinò a Monteal le sollecitazioni sono talmente forti che il pilota milanese spesso perdeva la vista per pochi istanti per il dolore causato dai sobbalzi della vettura. A Detroit invece, Capelli si frattura un piede dopo aver perso il controllo a causa dei continui sobbalzi indotti dall'assetto rigido.


La March 881 si rivela come la vettura dell'anno, anche se non vince nessuna gara, ma è l'unica aspirata che riesce a stare con i motori turbo, il tutto grazie all'aerodinamica estrema voluta da Newey. Il problema principale però è la scarsa affidabilità del V8 Judd, che è stato spremuto al massimo per potere competere con team che hanno budget infinitamente più elevati di quello della Leyton House. Il Judd ha ben 580 cv , lotta contro i turbo Honda e Ferrari che hanno circa 300 cv in più ed Adrian Newey pensa ad una monoposto estremamente filante come descrive nel suo libro "la 881 era nata attorno alla figura di Ivan Capelli che aveva un fisico abbastanza minuto ed avevo intenzione di approfittarne creando un abitacolo molto piccolo. Realizzammo un modello affinchè ci si sedesse dentro, poi abbiamo spostato i pedali verso di lui in modo da piegare il più possibile le gambe. Partimmo dalle dimensioni di quegli spazi per progettare il telaio con l'idea di realizzare l'abitacolo il più possibile aderente al suo corpo. Dal momento che il pilota siede con i talloni più vicini della punta dei piedi ho realizzato lo chassis a forma di V con la parte inferiore più stretta rispetta a quella superiore"


Rispetto alla macchina della stagione precedente, la March 881 presenta un carico aerodinamico superiore del 50% allo stesso valore di resistenza dell'aria, un notevole passo avanti in termine di prestazioni. La 881 attira ben presto la curiosità degli altri tecnici, tanto che, ad Imola durante la prima sessione di test, c'è un viavai  di persone che sbirciano le soluzioni del tecnico inglese. Tra loro c'è anche Harwey Postlethwaithe passato quell'anno alla Ferrari che viene scoperto mentre, accucciato al suolo, cerca di carpire i segreti della vettura.


Una della massime soddisfazioni di Adrian Newey è al GP del Portogallo, quando Capelli ha la meglio sulla McLaren di Ayrton Senna "A due terzi della gara Ivan capì come passare il brasiliano: rimase leggermente indietro prima dell'ultima curva, rimase in scia alla McLaren ed uscì all'ultimo momento in frenata. Ricordo l'euforia del momento, questa piccola squadra con poche risorse ed il motore aspirato aveva avuto la meglio su una McLaren, pilotata da Ayrton Senna. La McLaren con i motori turbo Honda era su un altro livello, e se una McLaren veniva sorpassata era solo da un'altra delle loro monoposto. Che ci fosse riuscita un'altra vettura ed anche aspirata, era fantastico!"



La stagione 1988 della March 881 si conclude con un sesto posto finale e 17 punti in classifica mondiale per Ivan Capelli, mentre Mauricio Gugelmin conquista solo 5 punti. La 881 si presenta al via anche del Mondiale 1989 in quanto la nuova monoposto non è ancora pronta. La stagione 1989 però non inizia bene per la Leyton House: Cesare Gariboldi muore tragicamente in un incidente stradale avvenuto verso le 13 di martedì 24 gennaio 1989. Forse a causa di un malore improvviso perde il controllo della sua auto e va a sbattere contro un albero mentre si sta recando da Fidenza a Parma. Gariboldi aveva 39 anni e da quel momento la nuova vettura viene battezzata CG 891 per ricordare il manager italiano.


Alla prima gara Gugelmin conquista subito un terzo posto che frutta alla squadra i primi ed unici 4 punti di quella stagione. Infatti, la nuova CG 891 si rivelerà estremamente fragile e nel resto della stagione collezionerà una serie di ritiri e piazzamenti poco significativi.







domenica 21 maggio 2023

IL CIRCUITO DI BIELLA


di Massimo Gioggia

L'idea di correre a Biella una gara in circuito ai massimi livelli (quella che oggi sarebbe la Formula 1, per intenderci) nasce nella primavera del 1934 nel corso di una riunione molto importante della Commissione Sportiva del RACI (Regio Automobile Club Italiano) di Biella.
Si parla della Biella-Oropa, cronoscalata che molti considerano una gara ormai obsoleta, ci si interroga sul che fare finché qualcuno butta lì l'idea di un circuito. Non un circuito qualsiasi (anche se vengono ipotizzati i percorsi più disparati) ma un circuito cittadino.
Un circuito nel pieno centro di Biella? Sembra una follia ma qualche mese dopo la follia diventa realtà.
C’è il percorso, c’è la data e, anche se il parere favorevole del RACI si fa attendere un po’, alla fine la gara si corre ed è un vero e proprio successo!

IL PERCORSO
Lungo 2,2 chilometri, il tracciato del Circuito di Biella è particolarmente suggestivo. La partenza è davanti ai Giardini Pubblici, in Viale di Porta Torino (oggi Piazza Vittorio Veneto). Da lì, dopo un breve rettilineo, si gira a sinistra nell’odierna via Bertodano (ai tempi ancora via Lamarmora) e poi, all’altezza della Stazione delle Ferrovie Elettriche (oggi demolita), si svolta a sinistra, nell’odierna Via Repubblica (ai tempi via Vittorio Emanuele). Si prosegue fino all’incrocio successivo, dove si gira a destra per entrare in Via Cernaia (l’unica strada che, col tempo, non ha cambiato denominazione), che è il tratto più veloce di tutto il percorso; in particolare il pezzo che, dall’ampia curva verso sinistra (dove oggi Via Cernaia incrocia Via Carso), scende deciso verso il Ponte di Chiavazza.

Il tornante che c’è in fondo, prima del ponte, è il punto più spettacolare di tutto il Circuito. Le vetture, infatti, arrivano in velocità, fanno una robusta frenata e poi girano a sinistra per affrontare la salita di via Marconi e poi via Carducci (quello che, ai tempi, era Viale Principe di Piemonte).

In fondo, posto anche questo molto spettacolare perché permette di vedere le vetture anche al di sotto, in Via Cernaia, c’è la curva obbligata verso destra che immette in Viale Matteotti (ai tempi Viale Regina Margherita). Quindi, dopo aver nuovamente attraversato Via Repubblica (che ai tempi era via Vittorio Emanuele) si torna, girando a sinistra davanti all’odierna Fons Vitae, sul rettilineo di partenza e arrivo.

LA PRIMA EDIZIONE (1934)
La prima edizione si corre il 2 settembre 1934. Vi prendono parte alcuni dei più grandi “driver” dell’epoca: c'è Tazio Nuvolari, su un’Alfa Romeo 8 C 2300 Monza; ci sono il beniamino locale, Carlo Felice Trossi, e il galliatese Achille Varzi, su Alfa Romeo P3 della Scuderia Ferrari; e poi ancora il marchese Antonio Brivio Sforza, su Bugatti Tipo 51, Renato Balestrero, su Alfa Romeo 8 C 2600 Monza, e la “giovane promessa” Giuseppe Farina su Maserati 4CM.
Vince Trossi, davanti a Varzi, mandando in visibilio i circa trentamila spettatori che affollano le tribune e i recinti per il pubblico.

LA SECONDA EDIZIONE (1935)
Visto il successo, sportivo ed economico, della I edizione, l'anno successivo gli organizzatori ripropongono l'evento, anticipando però la data. Si corre infatti il 9 giugno 1935, sullo stesso percorso dell'anno precedente.
Al via ci sono nuovamente i migliori piloti dell’epoca. Oltre a Nuvolari, Varzi, Trossi e Farina ci sono Piero Dusio, il monegasco Louis Chiron, e una donna pilota, Hellè Nice, su Alfa Romeo. Gli squadroni tedeschi di Mercedes e Auto Union sono stati invitati ma, all’ultimo hanno declinato l'invito per problemi tecnici.
Come l'anno precedente, viste le ridotte dimensioni del Circuito, la gara è suddivisa in batterie con accesso alla finale ai primi tre più il miglior quarto. Nelle prima batteria si qualificano Nuvolari e Trossi (Alfa Romeo P3), Farina e Dusio (miglior quarto) su Maserati 4CM e 8CM; nella seconda Chiron e Tadini su Alfa Romeo P3 e Varzi su Maserati 6C34.
La vettura di Varzi, però, ha problemi di natura meccanica e così il galliatese deve fermarsi.
Quando parte la finale, Farina è il migliore ma ben presto viene superato da Nuvolari. Dietro si danno battaglia Chiron e Trossi, che hanno a loro volta superato Farina. Trossi ben presto recupera terreno facendo segnare, all’undicesimo passaggio, il miglior tempo sul giro. Raggiunge Nuvolari e lo supera ma al giro successivo il mantovano restituisce il sorpasso. La gara va avanti così fino al venticinquesimo giro quando, tra lo stupore generale, Trossi arriva lentamente al traguardo e si ferma ai box annunciando il ritiro a causa di un’insolazione.
A quel punto Nuvolari non ha più rivali e procede indisturbato fino al traguardo, davanti a Chiron e al rientrante Farina.
La gara è stata nuovamente un successo, sportivo e di pubblico, ma non verrà più riproposta. Termina così la storia del Circuito Automobilistico di Biella.

(immagini dal libro "Prima di dimenticarle" di Massimo Gioggia)

martedì 2 maggio 2023

Il debutto in Formula 1 della Dallara



- di Massimo Campi
- Immagini ©Massimo Campi; ©Raul Zacchè/Actualfoto

Il 1° maggio 1988 ad Imola, Alex Caffi corre con la Dallara 188, la prima monoposto di Formula 1 realizzata a Varano de' Melegari, schierata dalla BMS Scuderia Italia

I motori e le auto da competizione sono una delle grandi passioni di Giuseppe Lucchini, presidente della Lucchini Sidermeccanica SpA, una delle più importanti industrie siderurgiche italiane. L’appassionato manager bresciano nel 1983 fonda la Brixia Motor Sport che inizia a gareggiare nel World Touring Car Championship. La grande svolta arriva nel 1988, quando Lucchini decide di schierare una monoposto per il campionato Mondiale di Formula 1 e si rivolge a Giampaolo Dallara per la costruzione della vettura. Intanto viene cambiato anche il nome della scuderia che, da Brixia Motor Sport, diventa BMS Scuderia Italia. L’unione tra la struttura bresciana e l’ingegnere parmense porterà al debutto della Dallara Automobili nella massima espressione dell’automobilismo mondiale. A Varano de' Melegari sin dall’estate del 1987 fervono i lavori, ma la vettura non è pronta per la prima gara stagionale del 1988 ed in Brasile la squadra bresciana debutta con una monoposto di F3000 adattata alle specifiche di Formula 1 con Alex Caffi alla guida.

La nuova Dallara 188 è progettata dall’ingegnere argentino Sergio Rinland, con un passato alla Brabham, che disegna una monoposto abbastanza convenzionale e facile da gestire. Per avere un baricentro il più basso possibile le sospensioni anteriori e posteriori sono del tipo pull-rod, ed anche il profilo del muso molto appuntito, e delle pance laterali si presenta decisamente basso.

Il motore utilizzato è il V8 Cosworth DFZ, la nuova unità prodotta dalla factory inglese con il ritorno ai motori aspirati di 3,5 litri. La stagione 1988 è l’ultima in cui è possibile utilizzare i motori turbo, che equipaggiano principalmente le monoposto di McLaren/Honda e Ferrari, mentre i team più piccoli si sono già convertiti ai nuovi aspirati che diventeranno i propulsori protagonisti delle stagioni successive.

L’utilizzo dei motori aspirati facilita il compito degli aerodinamici, ci sono molti meno accessori da installare nelle pance ed alle spalle del pilota, con un grande miglioramento dell’efficienza aerodinamica. La Dallara è una delle prime fabbriche ad avere una galleria del vento interna che è servita allo studio della nuova monoposto di Varano de Melegari. Il retrotreno presenta un profilo estrattore non particolarmente esasperato, mentre la superficie dell’ala anteriore, di tipo biplano è munita di bandelle laterali di grandi dimensioni. La superficie sotto l’ala anteriore è abbondante per generare più deportanza possibile, uno schema adottato dalla Dallara ed in seguito esasperato dalla Tyrrell 019 del 1990. Tra le caratteristiche aerodinamiche ci sono le doppie bandelle per indirizzare i flussi dell’aria sulle pinze freno.

La stagione della BMS Scuderia Italia si apre con una mancata qualifica nella prima gara con la Dallara 3087 derivata dalla F.3000 ed equipaggiata ancora con il vecchio DFV di 3.0 litri. Il 1 maggio 1988, prima gara europea e seconda della stagione, la nuova monoposto italiana debutta ad Imola con Alex Caffi alla guida. La Dallara 188 con il V8 di 3.5 litri si classifica al 24° posto nelle prove facendo un tempo migliore della Zacspeed turbo di Ghinzani e della Eurobrun di Modena. La gara dura poco con il pilota bresciano costretto alla resa per una avaria al cambio. Negli altri Gran Premi stagionali la Dallara 188 supera sempre tranquillamente le prequalifiche, uno degli scogli maggiori per un team piccolo ed esordiente. In prova è quasi sempre entro i primi 20 ma l’affidabilità è il tallone d’achille della vettura che finisce solo sette gare su 15 partenze. Spesso ci sono problemi di surriscaldamento dovuti alle piccole masse radianti installate nelle pance, ma anche problemi alla trasmissione ed ai freni che impediscono alla Dallara di ottenere risultati di rilievo. Il miglior gran premio è quello dell’Estoril, con Alex Caffi che sfiora la zona punti con un settimo posto alle spalle della McLaren di Ayrton Senna.











martedì 28 marzo 2023

Tony Brise, una carriera breve dall’epilogo sfortunato



di Massimo Campi

foto © Raul Zacchè/Actualfoto


Tra i piloti britannici degli anni '70 una delle giovani promesse era Tony Brise. Nel suo palmares ci sono solamente 10 Gran Premi ma anche due campionati di Formula tre vinti in Inghilterra. Anthony William Brise nasce il 28 marzo 1952 a Erith, nel Kent, la benzina dei motori la respira sin da piccolo, suo padre, John Brise, è un allevatore di maiali ma anche un pilota da corsa, che ha vinto tre volte il campionato mondiale di stock car. Sia Tony che suo fratello Tim hanno mostrato interesse per il go-kart in giovane età e John Brise ha rinunciato al suo hobby per sostenerli economicamente nelle loro carriera.


Brise vinse il suo primo campionato britannico nel 1969 e l'anno successivo passò alle corse in monoposto, guidando una Elden MK8 Formula Ford. Nel 1971 si classificò secondo nel BOC British Formula Ford 1600 Championship. Nel 1972 Tony Brise è al volante di una Brabham BT28 del Team di Bernie Ecclestone, poi passa alla GRD 372 e diventa uno dei piloti di riferimento della categoria. Brise ha vinto due dei tre campionati britannici di Formula 3 nel 1973: conquista in John Player ed arriva a pari punti con Richard Robarts nel Lombard North Central. Alla fine della stagione ha vinto per la seconda volta un Grovenwood Award, condiviso con Tom Pryce.


Nel 1974 debutta con una March 733 nella serie MCD Formula Atlantic, vince la prima gara, ma a Snetterton distrugge la monoposto. Le sue prestazioni destano l'attenzione di Teddy Savory della Modus, che gli ha offre il volante di una sua monoposto. Con la Modus corre anche il GP Monaco di F.3 finendo secondo dietro Tom Pryce in una March 743. Brise va molto forte con la nuova vettura nel 1975, vincendo sei gare consecutive, a Snetterton, Oulton Park e due volte ciascuna a Brands Hatch e Silverstone , abbastanza per vincere il MCD International Formula Atlantic Championship. Dopo questi risultati, fu contattato da Frank Williams ad aprile, per fare il suo debutto in Formula 1 sostituendo Jacques Laffite .


Il debutto di Brise nella massima formula avviene il 27 aprile 1975 con la Williams al Gran Premio di Spagna al Montjuic Park, una gara difficile, segnata da scioperi per problemi di sicurezza, un numero elevato di incidenti e la morte di quattro spettatori. Brise è arrivato settimo a due giri dai primi, nonostante una collisione con Tom Pryce. Laffite tornò per il successivo Gran Premio di Monaco, retrocedendo Brise ancora una volta alla Formula Atlantic. Si aprono nuovamente le porte della Formula 1 con il Team Embassy Hill dove Brise sostituisce il campione inglese alla guida della sua monoposto.


Tony Brise dimostra di essere molto veloce e ci sono buone prospettive per il suo futuro, spesso supera in qualifica il compagno Alan Jones. Tutto sembra viaggiare nella giusta direzione ma il 29 novembre 1975, Hill e Brise, insieme ad Andy Smallman, il progettista del team, e tre meccanici del team, stavano tornando a Londra dal sud della Francia, dove stavano testando una nuova macchina da corsa, la GH2. Il Piper Aztec, un bimotore a sei posti pilotato da Hill, stava tentando di atterrare all'aeroporto di Elstree di notte in una fitta nebbia quando si è schiantato al suolo. Nessuno sull'aereo è rimasto vivo dall'impatto, Tony Brise aveva solo 23 anni.