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martedì 27 settembre 2022

CITROËN BX FESTEGGIA I SUOI 40 ANNI


La BX ha una storia ricca e inaspettata nell’epopea di Citroën e dell'automobile, che riflette il successo commerciale ottenuto nei suoi 12 anni di vita. Oggi, naturalmente, ha un posto speciale nel cuore degli automobilisti e dei collezionisti, che non mancheranno di festeggiare con entusiasmo il suo 40° anniversario. Per l'occasione, gli esperti dell'associazione L'Aventure Citroën hanno invitato tutti gli appassionati a riscoprire la BX sabato 24 settembre presso il Conservatoire Citroën di Aulnay-sous-Bois.

Era il 23 settembre 1982 e, al calar della sera, una folla immensa era assiepata nei giardini di Champ de Mars, con lo sguardo rivolto al primo piano della torre Eiffel dove si trovava, sospesa, una gigantesca cassa di legno con la scritta "Voilà la nouvelle Citroën". In un vertiginoso spettacolo di luci e suoni, la cassa venne calata verso terra dove fu finalmente aperta per svelare la BX, che iniziò così la sua favolosa carriera tra applausi entusiastici, mentre la torre Eiffel era adornata con i double chevron e illuminata da fuochi d'artificio.
Pochi giorni dopo, il 30 settembre 1982, il 69° Salone dell'Automobile di Parigi, a Porte de Versailles, apre i battenti e segna l'inizio della commercializzazione della BX, una delle protagoniste indiscusse del salone.

Lanciato nel 1978 con il nome in codice "XB", il progetto della Citroën BX fu completato nel novembre 1979. Tra i principali obiettivi del progetto c’era quello di rendere la futura BX un veicolo moderno e non convenzionale, ponendo l'accento sull'innovazione. La BX doveva essere un'auto a trazione anteriore, con motore trasversale e un peso ridotto per garantire una buona accelerazione e limitati consumi di carburante, ai tempi un importante indice di efficienza. Come tutte le vetture Citroën di alta gamma dell'epoca, la BX venne dotata di un sistema di sospensioni idropneumatiche per garantire il comfort e una tenuta di strada ineccepibile. BX aveva una carrozzeria a due volumi con 5 porte, incluso portellone posteriore.
Lo sviluppo venne affidato al centro tecnico di Vélizy, che investì molto nel CAD (Computer Aided Design, ovvero la progettazione assistita da computer) per accelerare la convergenza tra la progettazione e l'ottimizzazione delle prestazioni. Con questo strumento, la BX raggiungerà un buon coefficiente aerodinamico pari a 0,34. Grazie all'uso innovativo di materiali compositi per elementi come i paraurti, il portellone del bagagliaio, il cofano motore e i pannelli posteriori, la BX riuscirà ad avere un peso a vuoto di soli 885 kg. Primo veicolo dell'era PSA, la BX utilizzerà i propulsori del Gruppo. Equipaggiata da subito con motori potenti (62 CV e 72 CV 1360 cm3, 90 CV 1580 cm3), la BX sorprende per il suo dinamismo.

Con BX, Citroën si è posta un duplice obiettivo: entrare nel mercato delle vetture del segmento medio superiore e subentrare a GSA. Per raggiungere questo traguardo, la BX potrà contare su solide basi tecniche che garantiranno comfort, dinamismo ed economia di utilizzo, oltre che su una nuova silhouette dal design innovativo.
Per la progettazione della BX, Citroën si affidò al famoso carrozziere italiano Bertone. Il designer Marcello Gandini (padre della Miura, della Countach e della Stratos) propose una linea originale, essenziale, priva di eccentricità, che si distingueva nel panorama automobilistico dell'epoca e che sarebbe diventata l’emblema della BX. Anche l’abitacolo colpiva per la plancia futuristica ispirata a CX, di cui riprende alcuni equipaggiamenti caratteristici come i “satelliti” ai lati del volante monorazza e il tachimetro illuminato a tamburo girevole.

Decisamente moderna e ricca di equipaggiamenti, la BX convinse immediatamente la stampa, riuscì a sedurre la clientela Citroën conquistando nuovi clienti: fu un grande successo commerciale. Prodotta nello stabilimento di Rennes La Janais in Bretagna e in quello di Vigo in Spagna, è stata venduta in 2.337.016 esemplari prima del termine della produzione nel giugno 1994. Una delle auto Citroën più vendute, BX ha contribuito indubbiamente a rilanciare la marca Citroën negli anni ottanta.

I 12 anni di commercializzazione della BX sono stati caratterizzati da numerose evoluzioni della carrozzeria. Nel 1985 viene aggiunta alla gamma un'elegante versione SW familiare, più lunga di 17 cm rispetto alla berlina e denominata Evasion, così come la versione aziendale apparsa un anno prima. Nel 1987 si assiste a un importante restyling: la BX sfoggia una linea esterna più morbida e la plancia è completamente nuova.
Gli equipaggiamenti non vengono trascurati: tetto apribile, aria condizionata, strumentazione digitale, rivestimenti in velluto, cerchi in lega, orologio digitale, computer di bordo, permettono alla BX di restare fedele alla sua immagine di veicolo moderno.

Dal punto di vista meccanico, la BX rimane all'avanguardia della tecnologia con motori che sviluppano fino a 160 CV, iniezione elettronica dotata di catalizzatore con sonda lambda, motore diesel, cambio automatico, trazione integrale permanente e frenata con ABS. Verrà offerta anche una serie limitata di 200 esemplari della versione stradale della BX 4 TC da competizione del gruppo B (2141 cc, 200 CV, 220 km/h).

La carriera della BX sarà inoltre costellata da numerose edizioni limitate (Tonic, Image, Calanque, Leader, ecc.), tra cui la famosa Digit con il quadro strumenti interamente digitale.
Al momento del lancio commerciale, BX era disponibile in cinque versioni e in due motorizzazioni.

mercoledì 27 luglio 2022

Il 27 luglio 1990 l'ultima Citroën 2CV


Il 27 luglio 1990 l'ultima Citroën 2CV usciva dalla catena di montaggio, a Mangualde, in Portogallo. Un evento che ha segnato la fine della produzione di un modello di successo, presentato al Salone dell’Automobile di Parigi nel 1948, ma la cui genesi inizia più di 10 anni prima. 
Quando è stata presentata per la prima volta, la 2CV ha stupito per il suo design originale, la versatilità e l'economia estrema. Ha saputo distinguersi anche per le sue innovazioni tecnologiche, all'epoca molto avanzate, tra cui la trazione anteriore, le sospensioni morbide e il motore a due cilindri raffreddato ad aria. Divenuta rapidamente una vettura popolare e molto richiesta, è stata una parte integrante della società e oggi è un’icona della storia automobilistica.

La Citroën 2CV è stata progettata appositamente per un ampio pubblico in un momento in cui l'automobile era ancora un oggetto di lusso. Era un veicolo economico, con caratteristiche innovative, che doveva rispondere alle esigenze della clientela dell’epoca. La 2CV ha conquistato le masse e nel 1990 gli esemplari complessivamente venduti superavano i 5,1 milioni di veicoli (comprese le versioni derivate).

Già a metà degli anni '30, Citroën iniziò a sviluppare un'auto economica, la futura Citroën 2CV. Doveva essere una vettura di piccole dimensioni, capace di andare ovunque e di trasportare ogni cosa, economica nell’acquisto e nella gestione. Queste le esigenze trasmesse dal Direttore Generale all’Ingegner André Lefèbvre, all’epoca Capo Progettista Citroën: «Fate studiare nel vostro reparto una vettura che possa trasportare due contadini con gli zoccoli, cinquanta chili di patate o un barilotto di vino ad una velocità massima di sessanta chilometri orari con un consumo di tre litri per cento chilometri».

Grazie alle sue caratteristiche di vettura molto versatile, parsimoniosa nei consumi e dai costi ridotti, la "Toute Petite Voiture" ("macchina molto piccola") era un'auto per tutti, in città e in campagna. Il progetto era pronto nel 1939 e doveva essere presentato nello stesso anno ma a causa dell'inizio della guerra, il Salone dell’Automobile di Parigi non ebbe luogo; i 250 prototipi già costruiti furono in gran parte demoliti e soltanto pochissimi esemplari furono nascosti.

Dopo la guerra, Citroën riprese a lavorare sul progetto e affidò a Flaminio Bertoni l’estetica di quella che diventerà la Citroën 2CV, un modello completamente rivisto rispetto alla TPV e che fu presentato il 7 ottobre 1948, al Salone dell’Automobile di Parigi.
La Citroën 2CV offriva spazio, era senza pretese, simpatica ed economica e in breve conquistò il pubblico, diventando l'espressione di una nuova filosofia del trasporto individuale e un simbolo di libertà e gioia di vivere.
A causa delle scarse materie prime, Citroën inizialmente era in grado di garantire una produzione limitata. Ciò ha comportato in breve liste di attesa fino a sei anni! Il prezzo di acquisto della Citroën 2CV era molto basso, così come i costi di manutenzione dovuti alla semplice tecnologia. Infatti era economica in termini di consumi e richiedeva poca manutenzione.

Il corpo in acciaio a quattro porte della Citroën 2CV non è stato progettato per essere autoportante e, come la maggior parte dei componenti aggiuntivi, è stato avvitato al telaio. Invece di un tetto fisso del veicolo in acciaio, il veicolo era dotato di un tetto avvolgibile in cotone impermeabilizzato per rendere il veicolo più leggero e aumentare il benessere a bordo, anche allora! Il comportamento alla guida della Citroën 2CV era caratterizzato da una mobilità piuttosto buona anche al di fuori delle strade asfaltate e da una notevole inclinazione laterale in curva. A causa del corpo leggero, del motore boxer e del serbatoio ribassati, c'era un baricentro favorevole, quindi il ribaltamento era quasi impossibile. Inizialmente, tutti i veicoli erano completamente equipaggiati con freni a tamburo. Dal 1981 sono stati installati i freni a disco anteriori.

Il nuovo motore boxer bicilindrico raffreddato ad aria con una cilindrata iniziale di 375 cm3 sviluppava 6,6 kW (9 CV) ed era dotato di serie di un cambio a quattro velocità per la prima volta. Seguirono numerose altre fasi di sviluppo. Il motore da 602 cm3 incorporato nella Citroën 2CV6 del 1970 inizialmente aveva 21 kW (28 CV). In tutti i veicoli è stato possibile avviare il motore utilizzando la manovella usata per il cambio delle ruote dell’auto.

La prima versione della Citroën 2CV con 9 CV ha raggiunto una velocità massima di circa 70 km / h. Gli ultimi modelli con 29 CV hanno raggiunto una velocità massima di 113 km / h. La 2CV è uno dei pochi veicoli la cui potenza del motore di base è più che triplicata nel corso delle fasi di sviluppo!

Nella primavera del 1951 fu introdotta la versione “Fourgonnette”, realizzata sulla base della berlina ma che a partire dal montante centrale proponeva uno spazioso vano di carico dalle forme regolari. Offriva una grande facilità di carico attraverso due porte a battente nella parte posteriore. La versione 2CV Fourgonnette veniva spesso utilizzata nel servizio pubblico, ad esempio dal servizio di soccorso stradale francese o come veicolo postale in Belgio.

A partire dal 1976, furono sviluppate numerose serie speciali a iniziare dalla SPOT, realizzata sulla 2CV Club, con la carrozzeria nella tinta Orange Teneré. La SPOT era sviluppata con motore da 435 cc e, solo per la Svizzera da 602 cc. Furono vendute tutte così rapidamente che pochi anni dopo si pensò a nuove serie speciali.

Nel 1981 arrivò la Charleston (che doveva chiamarsi Tréfle, come la piccola 5HP Citroën degli anni ‘20) e che era un omaggio agli “anni folli”, in stile retrò, gialla e nera o bordeaux e nera (poi arrivò anche una sofisticata versione in due toni di grigio), nel 1983 le France3 (che in Italia si chiamarono Transat, poi nel 1985 le Dolly, nel 1986 le Cocoricò tricolori e persino una versione dotata di frigobar allestita in collaborazione con una nota ditta di acque minerali: la 2CV Spécial Perrier (1988).

Ma tra tutte, quella che ebbe maggior successo, fu certamente la Charleston che sostenne a tal punto le vendite della 2CV da prolungarne la vita fino al 1990, quando le nuove normative europee ne fecero terminare la produzione.
Il modello unico divenne immediatamente un bestseller. Dopo che l'ultima 2CV uscì dallo stabilimento Citroën a Mangualde (Portogallo) il 27 luglio 1990, la piccola 2CV si trasformò in un veicolo di culto. Oggi, come nessun altro modello, è sinonimo di libertà, fascino francese, anticonformismo e avventura. Ancora oggi, migliaia di appassionati la collezionano e ne fanno il simbolo del loro stile di vita.

In Italia, sono migliaia i collezionisti e amanti del modello, riuniti in gruppi locali e comunità web, oltre ai due Club ufficiali dedicati a questa vettura: l'"Associazione Internazionale Club Citroën e Derivate Italia” di Beinette (CN) e il “Club Italia Bicilindriche Citroën” di Lodi.

(Citroën Comunicazione)

martedì 20 aprile 2021

60° ANNIVERSARIO DELLA CITROËN AMI 6

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  • Il 24 aprile 1961, Citroën presenta alla stampa AMI 6, prodotta nel nuovo stabilimento di Rennes, in Francia. Inizialmente lanciata come berlina, è la versione Break ad avere più successo, con 550.000 vetture vendute su un totale di un milione di AMI 6 prodotte fino al 1971.
  • Questo modello era stato pensato da Citroën per completare la sua gamma, che comprendeva la 2CV, la ID e la DS.  Il suo progettista, che aveva disegnato anche la Traction Avant, la considerava il suo capolavoro!
  • Grazie all’indimenticabile lunotto inclinato all’indietro, AMI 6 ha segnato gli anni ‘60 con la sua silhouette denominata ‘Linea Z’.  


«Questo modello non è in alcun modo destinato a sostituire la 2CV, rispetto a cui è completamente diverso (…)» all’epoca, il comunicato stampa Citroën del 1961 può aver sorpreso tanto quanto la forma della AMI 6! Tuttavia, questa "grande piccola vettura", con il suo ingombro ridotto e una grande abitabilità, avrebbe avuto successo, al di là della sua esclusiva silhouette, con più di un milione di unità prodotte, oltre la metà delle quali nella versione Break (giardinetta), presentata nel 1964.

CITROËN AMI 6, UN LOOK UNICO CON IL SUO PADIGLIONE A Z

Dopo aver disegnato, con l’equipe del Centro Stile Citroën, la Traction Avant, la 2CV e la DS, Flaminio Bertoni si vede affidare la creazione delle linee di una vettura di fascia media denominata Progetto AM. Il risultato è AMI 6, il suo capolavoro, come confiderà al suo entourage. Per la prima volta, il designer ha potuto esprimersi pienamente e da solo, senza che nessun altro imponesse lo stile di questa vettura. Sulla AMI 6, osa proporre un lunotto invertito che rimane pulito quando piove, permette di mantenere una buona capacità del bagagliaio posteriore con apertura tradizionale e nel contempo di offrire sedili posteriori spaziosi, il tutto con dimensioni ridotte. Il motore bicilindrico di 602 cm3 è derivato da quello della 2CV. Con un frontale dalle linee elaborate e grandi fari rettangolari (una novità per quell'epoca), un cofano con una parte centrale concava, il tetto a pagoda e fiancate sottolineate da linee sagomate, la AMI 6 ha una forte personalità, uno "stile barocco", come dicono alcuni osservatori! La AMI 6 non è solo sorprendente dal punto di vista estetico ma è innovativa anche in termini di marketing, presentandosi sui materiali pubblicitari come ‘la deuxième voiture idéale pour Madame’ (‘la seconda auto di famiglia, ideale per le signore’). Gli interni della AMI 6 si ispirano direttamente a quelli della DS, un vero punto di riferimento. Il volante monorazza, le maniglie delle porte, i comandi e perfino i sedili, tutto ricorda il modello alto di gamma di Citroën.

Quanto al comportamento su strada, tutti lodano la tenuta di strada e la versatilità della berlina, che eredita le famose sospensioni della 2CV. Fin dall'inizio, in linea con lo spirito Citroën, AMI 6 era una vettura originale e innovativa. I suoi fan erano particolarmente interessati alle versioni Club con quattro fari e la modanatura sulla fiancata in gomma bianca, commercializzate a partire dal settembre 1967.

Lo slogan pubblicitario emblematico di AMI 6 rimane "il rapporto chilometri-comfort meno caro del mondo".

LA AMI 6 BREAK, LA QUINTA PORTA DEL SUCCESSO

La svolta essenziale avviene alla fine del 1964 con l'arrivo di una piccola autovettura giardinetta (320 kg di carico utile) progettata da Henri Dargent (assistente di Flaminio Bertoni) e Robert Opron (successore di Bertoni, morto nel 1964). Una station wagon che aumenterà le vendite e soppianterà la berlina. Questo è un caso rarissimo nella storia dell'automobile. Più convenzionale, la sua linea offre anche un grande volume di carico per un'autovettura di questa categoria e un accesso facile e pratico. Versatile, permette a una famiglia di viaggiare con un comfort apprezzabile, ma consente anche un uso professionale per un agente di commercio o per un artigiano.

AMI 6 diventa l'auto preferita dai francesi nel 1966. La produzione della berlina termina nel marzo 1969, in favore della nuova AMI 8, meno atipica e con il lunotto posteriore nella direzione "giusta". Quest'ultima lascerà il posto alla Visa nel 1978.


CITROËN AMI 6, LO SAPEVATE?

  • Il nome AMI 6 deriva da un mix fonetico che gioca con la denominazione data al progetto dal Centro Studi (veicolo AM), la parola miss («signorina» in inglese) e la parola ami («amico» in italiano), verosimilmente ispirata al suo stilista, Flaminio Bertoni, che era italiano.
  • Yvonne de Gaulle, la moglie del generale de Gaulle, guidava una AMI 6. De Gaulle aveva inaugurato lo stabilimento Citroën di Rennes-La-Janais mentre era ancora in costruzione il 10 settembre 1960, poco più di un anno prima che iniziasse la produzione.
  • Un raid denominato “Le Tour de Gaule d'Amisix” era stato organizzato da Citroën con partenza da Rennes-La-Janais il 19 gennaio 1966 con due AMI 6 Break di serie per dimostrare la loro resistenza e le loro qualità stradali. Al traguardo, dopo 23 ore e 11 minuti, la squadra aveva percorso 2.077 km a una velocità media di 89,6 km/h.
  • Nel giugno 1963, la AMI 6 viene presentata negli Stati Uniti. Il modello da esportazione adotta quattro fari rotondi e paraurti rinforzati.
  • Siti di produzione: Parigi (Francia) dal 1961 al 1963, Rennes-La-Janais (Francia) dal 1961 al 1969, nuovissimo stabilimento in Bretagna, il primo grande sito produttivo della Marca decentralizzato da Parigi, inaugurato da Citroën proprio con AMI 6. Forest (Belgio) dal 1961 al 1969. Catila (Argentina): la produzione di AMI 6 Break continua fino al 1971 (le vetture vengono spedite in insiemi preassemblati, poi il montaggio viene completato localmente).
  • Sono state prodotte in totale 1.039.384 AMI 6: 483.986 Berlina (da aprile 1961 a marzo 1969), 551.880 Break (da ottobre 1964 a settembre 1969) e 3.518 Entreprise (versione Break Service a due posti, versioni vetrate e lamierate).
  • Sugli ultimi modelli di AMI 6, l'intensità della luce del quadro strumenti si regola con una piccola manopola che controlla un reostato.
  • Oggi, per una versione stradale in buone condizioni, la quotazione di una AMI 6 parte da 5.000 euro.
  • È possibile acquistarla anche in miniatura in scala 1:43e (37 euro), viene proposta sulla boutique Lifestyle Citroën in una versione AMI 6 Berlina 1967 Grigio Typhon.

 


Scheda tecnica

AMI 6 Berlina 1961: Motore: Tipo M 4, Cilindrata: 602 cm3, Alesaggio: 74 mm, Corsa 70 mm, Potenza fiscale: 3 CV, Potenza reale: 22 CV a 4.500 g/min. Carburatore: Solex a corpo unico 30 PBI fino a novembre 1961 poi 30 PICS.  Serbatoio di carburante 25 litri. Dimensioni generali e peso: Lunghezza: 3,87 m, Larghezza: 1,524 m, Passo: 2,4 m, Peso a vuoto: 640 kg.

AMI 6 Break 1964: Motore: Tipo M 4, Cilindrata: 602 cm3, Alesaggio: 74 mm, Corsa 70 mm, Potenza fiscale: 3 CV, Potenza sviluppata: 25,5 CV a 4.750 g/min. Carburatore: Solex a corpo unico 40 PICS e 40 PCIS (frizione centrifuga) fino ad aprile 1964, poi 40 PICS-2 e 40 PCIS-2 (frizione centrifuga). Serbatoio di carburante 25 litri. Dimensioni generali e peso: Lunghezza: 3,958 m, Larghezza: 1,524 m, Passo: 2,4 m, Peso a vuoto: 690 kg.

Prezzo di lancio: Berlina 1961: 6.550 Franchi (267 franchi per il supplemento posto autoradio disponibile da gennaio 1962). Lo stesso anno, 2 CV AZLP 425 cm3 (frizione centrifuga): 4.950 franchi, ID 19 berlina normale: 9.970 franchi. Break 4 Posti Tourisme 1964: 7.140 Franchi.

Principali evoluzioni: 1962: vetri posteriori scorrevoli (solo metà). Ottobre 1964: Carrozzeria tipo Break. Nuovi fari posteriori a ogiva. Ottobre 1967: Allestimento Club con fari a doppia ottica rotondi e modanature con fiancata bianca. Finiture migliorate. Maggio 1968: Fari posteriori monoblocco multifunzione. Finestrini anteriori a doppio scorrimento.

 

venerdì 19 marzo 2021

Citroën GS Break, stesso comfort con più volume


Quando nell’agosto del 1970, i giornalisti specializzati scoprirono la nuova Citroën GS sotto gli scenografici cieli della Camargue, regione scelta per la presentazione, restarono colpiti dal grande concentrato di novità introdotto dal modello che da un lato democratizzava la sospensione idropneumatica, introducendola su una vettura “media”, dall’altro vantava freni a disco sulle quattro ruote, un’abitabilità eccezionale per cinque persone, un grande vano bagagli, una carrozzeria aerodinamica ed estremamente luminosa, grazie a grandi superfici vetrate.

Per le sue eccezionali qualità, la GS fu nominata istantaneamente “Auto dell’Anno 1971” un prestigioso riconoscimento della stampa a cui seguì un grande successo commerciale. Caratteristico di questo modello era il portabagagli, che pur molto spazioso e dalle forme regolari, era accessibile tramite un’apertura posizionata nella parte inferiore, piuttosto piccola rispetto alle dimensioni interne del vano bagagli. Non si trattava di un errore, ma di una scelta precisa dei vertici della Marca del Double Chevron che consideravano inaccettabile far entrare le intemperie all’interno dell’abitacolo quando si apriva il portellone per caricare il bagagliaio!

Dopo la GS Berlina, arrivata ad agosto del ’70, era prevista l’introduzione di un modello ancor più flessibile: la GS Break. Quella di Citroën con le versioni “giardinette” è una lunga storia fatta di esperienza e di una profonda competenza: fin dai tempi della Traction, infatti, ad ogni grande Citroën seguiva una famiglia di station wagon (le Break, appunto), un modello in grado di offrire ulteriore volume interno, pensato per soddisfare le esigenze di tutti gli utenti. Così è stato per la DS e così sarà per la GS (e poco dopo per la CX).

Le vetture Citroën nella variante Break esistevano anche in versione più piccola, come nel caso delle AMI (AMI6, AMI8 e AMI Super) o della versione “commerciale” della 2CV, oppure la Méhari in versione biposto con grande piano di carico. Dunque per la GS era solo questione di tempo e ce ne volle davvero poco: già nel luglio del 1971 arrivò la famiglia delle GS Break, articolata in versioni 5 porte (Break) e 3 porte (Service). Quest’ultima rappresentava la versione commerciale, progettata per il trasporto delle merci ed era disponibile sia con fiancata interamente vetrata, detta “Vitrée” (dove un unico pezzo in vetro partiva dal montante di separazione tra la prima e la seconda fila ed arrivava fino in fondo!) che con fiancata in lamiera, detta “Tolée”.
Il successo, anche qui, fu immediato e travolgente: la fabbrica di Rennes, in Bretagna, che produceva la nuova GS fu presto in affanno per soddisfare la domanda generata dall’arrivo della Break.

Nel frattempo Citroën metteva mano anche ai propulsori, caratterizzati dall’architettura boxer 4 cilindri con raffreddamento ad aria ed al primo motore 1015 cc di cilindrata si affiancava un 1220 cc, più parco nei consumi e dotato di grande affidabilità. La gamma colori era decisamente brillante, gli interni “space age” ed erano presenti alcuni dettagli originali come la curvatura panoramica della vetratura del portellone posteriore, che “si piegava” fino a sconfinare sul tetto e che riprendeva, ostentandola, quella caratteristica della DS o della SM.

Citroën conosceva la materia e proprio grazie alle sue profonde competenze sapeva come fare per ottenere automobili risolutamente avanzate che sembravano non invecchiare mai. Nel caso della GS, tutta la famiglia ebbe un profondo restyling nel 1979 quando, dieci anni dopo il lancio, la GS divenne GSA (GS Améliorée, migliorata), dotata, anche sulla berlina, di un ampio portellone di carico posteriore che ne aumentava ancora la funzionalità. Il successo di questo modello si può facilmente misurare grazie alla quantità di auto prodotte: quasi due milioni e mezzo di esemplari (incluse GS e GSA in tutte le loro versioni), fino al 1986, quando poi la nuova BX, lanciata già nel 1982, ne rimpiazzò completamente la gamma.

> > Credits: Citroën Comunicazione

martedì 11 agosto 2020

GS Camargue, la prima Citroën dí Bertone


Per diversi decenni la Marca Citroën ha custodito gelosamente i segreti del proprio Centro Stile, puntando sempre all’effetto sorpresa per il lancio di ciascuna delle sue vetture e senza mai collaborare con stilisti esterni, almeno fino al 1972, quankdo fu svelata una “dream car”, realizzata dal designer italiano Nuccio Bertone, sulla base della Citroën GS, all’epoca sul mercato da soli due anni.

La GS era il frutto del gruppo di lavoro di Robert Opron, assunto in Citroën nei primi anni ’60 come assistente di Flaminio Bertoni, che diresse il Centro Stile dalla fine degli anni ’20 sino al 1964, anno della sua scomparsa. Opron ha curato anche altri progetti, come il restyling dell’AMI6 (che divenne AMI8), quello della coupé a motore Maserati SM e la berlina Citroën degli anni ’70 e ’80: la CX.


La GS era una berlina media a quattro porte e cinque comodi posti, dotata di sospensioni idropneumatiche, quattro freni a disco ad alta pressione con limitatore automatico sul retrotreno in funzione del carico e della sua ripartizione, un preciso sterzo a cremagliera ed un comfort ed una tenuta di strada tipicamente Citroën. Uno dei punti forti della GS era la carrozzeria, disegnata per la prima volta con l’aiuto dei computer ed estremamente aerodinamica e filante.

Rispetto alle vetture della concorrenza, GS era innovativa e moderna e seppe distinguersi per diversi elementi. Dal design moderno, disponeva di un grande vano bagagli, regolare e facilmente accessibile grazie alla soglia di carico variabile e già molto bassa (solo 42 cm da terra) e grazie al paraurti posteriore integrato nel portellone, che si solleva anch’esso all’apertura, per facilitare il carico. Offriva cinque comodissimi posti, cullati dalla morbidezza della sospensione idropneumatica. Lo sterzo, grazie all’adozione di una geometria specifica dell’asse di rotazione delle ruote anteriori, filtrava le irregolarità della strada per un grande comfort a bordo. L’abitabilità di GS era eccezionale in rapporto alle sue dimensioni compatte e la percezione di spazio a bordo era ulteriormente amplificata grazie all’integrazione del volume del bagagliaio.


Un motore a quattro cilindri con ridottissime vibrazioni (grazie all’architettura boxer a cilindri contrapposti), raffreddato ad aria ma silenzioso e brillante nelle prestazioni la cui cilindrata crescerà negli anni sino a 1300cc e che spingerà la GS (e la successiva GSA) oltre i 150km/h di velocità massima.

Tutto questo era Citroën GS e rappresentava la base di partenza da cui sviluppare un nuovo progetto di design.

La Carrozzeria Bertone, fondata nel 1912 da Giovanni Bertone e sviluppata dal figlio Nuccio, aveva sede vicino a Torino e vantava il design di prestigiose automobili per moltissimi marchi di tutto il mondo.

La “dream car” GS Camargue fu il risultato di una sfida: ricavare dalla GS una berlinetta sportiva a due posti, con l’intento neanche troppo nascosto di mostrare al costruttore francese di cosa fosse capace il gruppo di progettisti guidato da Nuccio Bertone. Il designer che si occupò materialmente del progetto fu Marcello Gandini che iniziò a lavorare sulla “dream car” tra la fine del 1970 e l’inizio del ’71 per arrivare a presentare alla Marca il suo progetto nel 1972.

Per battezzare il prototipo messo a presto epunto dall’equipe di designer italiani, l’ispirazione venne, anche in questo caso, dalla GS, in particolare dal luogo della sua presentazione alla stampa, avvenuta nell’agosto del 1970. L’ambientazione scelta per l’evento fu la regione francese della Camargue, celebre per le sue ampie saline dove corrono libere grandi mandrie di cavalli bianchi. Parve quindi ovvia la scelta del nome Camargue!

La GS Camargue, vettura perfettamente funzionante, fu presentata nel 1972 nei due più importanti Saloni dell’auto in Europa: quello di Parigi e quello di Londra, dove riscosse un successo unanime.


Nella GS Camargue, il team dei designer era infatti riuscito a sviluppare una coupé compatta, valorizzando al massimo lo stile moderno e le linee aerodinamiche di GS. Le linee fluide e affusolate di GS Camargue le conferivano infatti eleganza e nel contempo dinamismo. L’assetto più basso rispetto alla GS offriva a GS Camargue una posizione di guida più sportiva. Il frontale si caratterizza per il design innovativo, con linee geometriche squadrate molto regolari. Decisamente aerodinamico, il profilo della carrozzeria è molto fluido e regolare, sottolineato dalla linea continua del tetto che confluisce nel lunotto molto inclinato, per un design dallo sviluppo molto affusolato. La parte posteriore si contraddistingue per i gruppi ottici che si estendono per tutta la larghezza della carrozzeria formando uno spoiler aerodinamico e per il lunotto in vetro molto ampio e dallo sviluppo curvilineo, integrato nel portellone apribile, una sorta di innovativa capsula vetrata che rende totalmente visibile l’interno. L’abitacolo spazioso e luminoso offre ottima abitabilità per i due occupanti, grazie a sedute ampie ed avvolgenti. Le sospensioni idropneumatiche garantivano un comfort eccellente e nel contempo un’ottima tenuta di strada.


La Marca Citroën arrivò a valutare l’idea di produrre in serie una coupé derivata dalla GS (in questo caso progettata dal design interno del Costruttore) ma il successo della berlina era tanto e tale (quasi 2.500.000 esemplari prodotti!) da sconsigliare qualsiasi intervento sulla “media”, cuore di gamma, della Marca del Double Chevron.

Qualche anno più tardi, la collaborazione con la Carrozzeria Bertone proseguì, quando nel 1978 Nuccio Bertone fu invitato da Citroën a presentare una sua proposta per un’erede della GS, in quel momento al culmine del suo successo, ma che la Marca intendeva sostituire entro i successivi quattro/sei anni. La progettazione fu affidata nuovamente a Marcello Gandini, che facendo tesoro di quanto appreso sulla GS riguardo la tecnologia costruttiva e lo stile Citroën, propose una riedizione del prototipo “Tundra” di Bertone, anch’esso una coupé, con l’aggiunta di altre due porte ed un portellone. Nasceva così il progetto XB che, nel 1982, avrebbe portato all’erede della GS: la BX, prima Citroën di serie il cui design non è nato all’interno del Centro Stile della Marca. La collaborazione tra Citroën e Bertone proseguì proficuamente negli anni, portando alla creazione di XM, ZX, Berlingo e Xantia. Oltre al prototipo Zabrus su base BX 4TC, una sorta di erede spirituale della Camargue.

Oggi, la GS Camargue fa parte della collezione storica Bertone ed è stata esposta da Citroën al salone Rétromobile di Parigi del 2019, in occasione del centesimo anniversario della Marca.

Credits: Citroën Comunicazione

lunedì 13 luglio 2020

AL RALLY LANA BIS PER LA CITROËN C3 R5 E ANDREA CRUGNOLA


Ad una sola settimana dalla vittoria al Rally del Casentino, la Citroën C3 R5 della F.P.F. Sport e la coppia Andrea Crugnola – Pietro Ometto si ripetono e salgono sul gradino più alto del podio alla 33esima edizione del Rally della Lana. Crugnola-Ometto, in testa fin dai primi chilometri cronometrati, hanno vinto sei delle sette speciali disputate e si presentano in gran forma al primo appuntamento del Tricolore 2020, il Rally di Roma Capitale. Andrea Crugnola: “Siamo felici di avere replicato il successo del Casentino e del feeling crescente con la nostra Citroën C3 R5. Abbiamo scelto di venire al Rally della Lana perché tecnicamente le prove sono simili ad alcuni tratti del Rally di Roma. È stato un ottimo banco di prova, al di là del risultato finale, abbiamo lavorato sui set up e provato ancora alcune soluzioni. Fare chilometri in più in condizioni di gara sicuramente ci aiuterà”. 

Classifica finale 33° Rally della Lana
1.Crugnola-Ometto (CITROËN C3 R5) in 38'52.5; 2. Pinzano – Zegna (VOLKSWAGEN POLO GTI) a 48.2; 3.Chentre - Canepa (SKODA FABIA R5) a 57.1; 4. Gino - Michi (FORD FIESTA) a 58.3; 5. Scattolon - Nobili (SKODA FABIA R5) a 1'03.3; 6. Gianesini – Bergonzi (VOLKSWAGEN POLO) a 2'01.2

domenica 21 giugno 2020

CITROËN E LA RICERCA DI NUOVE TECNOLOGIE: LA STORIA DEL MOTORE WANKEL


Il genio dietro questa storia si chiama Felix Wankel, classe 1902, nato a Lahr, nel sud della Germania, a pochi chilometri dal confine francese. Rimasto orfano di padre, scomparso durante la Prima Guerra mondiale, Felix non poté terminare gli studi ma già in giovane età era affascinato dalla meccanica, in particolare ai motori, e molto presto iniziò a pensare a propulsori totalmente nuovi, cominciando a sperimentare compressori rotativi da applicare in aeronautica.
Il secondo conflitto mondiale lo trascorse principalmente in cella, prigioniero per le sue idee decisamente avverse al regime nazista, ma costretto a lavorare sul progetto dei compressori per i motori dei caccia della Luftwaffe.
Nella nuova Germania del secondo dopoguerra, Felix Wankel trovò un lavoro presso la NSU: una fabbrica di macchine per la tessitura che all’inizio del ventesimo secolo aveva convertito la produzione verso i settori motociclistico e automobilistico. Quando la fabbrica tedesca decise di riprendere la produzione automobilistica, all’inizio degli anni ’50, Felix Wankel era l’uomo giusto al posto giusto!

Wankel perfezionò il suo progetto per un motore a pistone rotante che eliminava quella che, a suo dire, era la più grande pecca dei motori tradizionali: l’inerzia, energia perduta nel muovere su e giù i pistoni e nel trascinare l’irrinunciabile volano, necessario per dare al motore un minimo di fluidità di funzionamento.
Il pistone rotante (“rotore”) aveva grossomodo la forma di un triangolo e ruotava in una camera di combustione biloba (lo “statore”), spostandosi nel suo ciclo tra la parte superiore ed inferiore della camera stessa.

Nel 1951 Wankel trovò un accordo con l’azienda dove lavorava per lo sviluppo del suo brevetto in campo automobilistico e la NSU, a sua volta, cercò un partner in grado di sostenere i costi di una ricerca totalmente nuova. Lo trovò, volutamente, fuori dai confini della Germania, nella vicina Francia dove i tecnici del Centro Studi Citroën dimostravano una vitalità unica al mondo ed una voglia di esplorare nuove frontiere seconda a nessuno.
Il motore Wankel in versione monorotore fu installato inizialmente sulla piccola NSU “Prinz Spider” nel ’63, su cui dimostrò le sue potenzialità. Nel 1964 fu siglato un accordo Citroën-NSU che diede vita alla società Comobil, a capitale misto franco-tedesco ed ubicata in Lussemburgo. Tre anni più tardi, non lontano dalla NSU, in territorio tedesco, dalla Comobil nacque la Comotor, a tale società il compito di progettare e costruire un potente Wankel birotore che avrebbe equipaggiato, entro pochi anni, due futuri modelli dei due marchi.

Mentre NSU aveva fatto la propria esperienza con la piccola “Prinz Spider” (per altro disegnata da Bertone), Citroën non aveva ancora avuto modo di mettere su strada un proprio veicolo con tale motore. La Direzione del Double Chevron voleva prima verificare le prestazioni e le caratteristiche di questa nuova tecnologia. Fu così che il Centro Studi Citroën e la Comotor furono incaricati di realizzare una piccola serie di 500 autovetture con un motore Wankel monorotore, concettualmente simile a quello della “Prinz Spider”, per far percorrere loro una quantità conveniente di chilometri in condizioni d’uso normale e gravoso: alla partenza del progetto, il numero delle vetture fu ridotto a 350. Iniziava così l’operazione M35!

A vederla da fuori, sembra un’AMI8 coupé, ma guardandola bene ci si accorge che la somiglianza si ferma all’apparenza: non uno dei pezzi di carrozzeria è lo stesso dell’AMI8! L’auto disegnata in poche settimane dal Centro Stile Citroën risponde al capitolato della Direzione: è leggera, semplice costruttivamente e non rinuncia alle prerogative Citroën in quanto è dotata di sospensione idropneumatica pur disponendo di uno chassis dei modelli A (2CV, Dyane, Méhari e AMI), e monta un motore Wankel monorotore di 497,5 cm³ capace di erogare circa 50 cavalli.
In tutto furono 267 le vetture costruite dal 1969 alla fine del 1971 dalla carrozzeria Heuliez, affidate a Clienti selezionati tramite la rete dei Concessionari francesi, formati appositamente per fornire assistenza alle vetture.

I consumi si rivelarono piuttosto elevati, ma in quegli anni non sembrava essere un problema capace di frenare una tecnologia che, comunque, offriva altri vantaggi: potenza, brillantezza ed il più totale comfort dovuto all’assenza di vibrazioni ed una silenziosità di funzionamento neanche paragonabile ai più silenziosi dei motori tradizionali.

L’operazione M35 fu interrotta nella seconda metà del 1971 perché le esperienze accumulate furono ritenute più che sufficienti per essere trasferite sulla prima (ed unica) Citroën di serie a motore rotativo: la GS Birotor!
Nel frattempo, NSU aveva lanciato la sua prima vettura birotore: la Ro 80 (da Rotationskolben, pistone rotante) elegantissima nella linea originale e all’avanguardia. Dotata del birotore Comotor Citroën-NSU, fu un banco di collaudo importante per cercare di risolvere il problema dei consumi elevati.

La Ro 80 fu presentata alla fine del ’67 e nel ’68 era già “Auto dell’Anno”. Disponeva di circa 115 cavalli, aveva uno schema decisamente Citroën nella disposizione meccanica, con sospensioni a ruote indipendenti, motore e trazione anteriore, freni a disco anteriori “on board” (posti all’uscita del differenziale) e posteriori nelle ruote.
Pochi anni dopo, fu la volta di Citroën che lanciò sul mercato internazionale la sua GS Birotor. Erano pochi gli elementi che la richiamavano alla GS presentata nel ’70, quella con il motore quattro cilindri da un litro di cilindrata di tipo boxer, raffreddato ad aria. La linea era rimasta inalterata, lo stesso vale per alcuni elementi di carrozzeria, come le portiere ed i cofani, ma il resto era sostanzialmente diverso: dai parafanghi allargati per ospitare gomme di sezione maggiore ad un avantreno che anticipava totalmente quello della futura CX. La versione Citroën del Wankel Comotor era denominata 624, ed era leggermente meno potente (107 cavalli in luogo di 115) del gemello della Ro 80. La scelta di ridurre la potenza fu fatta con l’idea di abbassare sostanzialmente i consumi (che sulla Ro 80, secondo test su strada di molte riviste tedesche, superavano i 20 litri per 100km!) ed aumentare la durata dei segmenti dei pistoni.

Per un migliore sfruttamento delle peculiarità del Wankel, alla GS Birotor fu abbinata di serie una trasmissione semiautomatica a tre rapporti con convertitore di coppia (denominata C-Matic) che semplificava la guida della vettura (soppressione del pedale della frizione) e rendeva progressiva l’applicazione della potenza alle ruote, altrimenti brusca.
L’interno e l’esterno erano sontuosi: verniciatura bicolore di serie (Brun Scarabée e Sable Dorée), filetti sulla carrozzeria, un interno esclusivo e raffinato, con una plancia di bordo dotata di strumentazione più che completa, sedili rivestiti con tessuti specifici ed il logo “Birotor” in bella vista sopra la leva del cambio.
Il comunicato stampa che accompagnava il lancio della vettura diceva ironicamente che “a 180km/h, il ticchettio dell’orologio potrebbe essere fastidioso”, ad indicare quanto silenzioso fosse l’incedere della vettura grazie al motore totalmente privo di vibrazioni.

Era il 1973 e nessuno poteva ancora immaginare quel che sarebbe successo da lì a poco, con la somma degli effetti negativi della crisi petrolifera e di quella economica (arrivate nel pieno della crisi finanziaria di Citroën). Per capire meglio quale fosse la situazione, vale la pena ricordare che dalle parti dell’aeroporto del Bourget, volava in cielo uno strano oggetto: un elicottero tutto verde, senza marchi evidenti, caratterizzato da una notevole silenziosità, pur mosso da un motore a pistoni e non da una turbina.
Si trattava del prototipo dell’RE2, il primo (ed unico) elicottero Citroën, voluto alla fine degli anni ’60 da Pierre Bercot, presidente e Direttore generale di Citroën, all’interno di un ampio piano di diversificazione della produzione.

In questo contesto, quando il governo francese ridimensionò drasticamente l’investimento nel supersonico anglo-francese Concorde, a Bercot parve un’occasione irripetibile quella di assumere gli ingegneri aeronautici rimasti disoccupati e di creare un reparto, segreto ovviamente: “Citroën Aviation”.
Il suo obiettivo era quello di costruire un oggetto di mobilità che si affiancasse alle auto nelle città congestionate. Da qui nacque l’idea di costruire un elicottero naturalmente equipaggiato con un motore Wankel!
Così Comotor ebbe un altro incarico: quello di un motore aeronautico, più grande e potente di quello della GS Birotor, capace di sollevare l’elicottero RE2 e farlo volare per almeno 600km dal decollo all’atterraggio.

Comotor costruì anche questo motore, in diversi esemplari corredati da ricambi per le prove di volo dell’RE2 che iniziarono nel 1975 e proseguirono ancora per mesi.
Intanto tutto intorno cambiava: la GS Birotor fu costruita in soli 873 esemplari e alla fine del ’74 era già iniziata la fusione che porterà alla nascita nel gruppo PSA.
Così finisce la storia del motore Wankel in Europa: una storia fatta di sogni, di limiti fisici insormontabili con le tecnologie dell’epoca (ed anche quelle attuali) e di esperimenti ai confini della sostenibilità industriale.

La combustione difficilmente ottimizzabile nelle “strane” camere del Wankel, la necessità di lubrificazione (c’era un miscelatore automatico) che portava a bruciare miscela di olio e benzina e che tra incombusti e fumi dell’olio determinavano un inquinamento allo scarico oggi inconcepibile, generava consumi e inquinamento ben oltre i limiti del ragionevole.

E l’elicottero? Il problema, identificato da subito, fu quello delle elevate temperature raggiunte dal motore Wankel nel suo funzionamento. Molti tipi di radiatori e scambiatori furono provati nel tempo ma il problema rimase. Nel ’77, quando la Direzione comprese le difficoltà del gruppo di lavoro, anche e soprattutto per la fine di Comotor che non avrebbe più potuto fornire motori e ricambi, l’elicottero fu definitivamente messo a terra e spostato nella collezione privata di Citroën.

Oggi è uno dei “pezzi forti” del Conservatoire Citroën: capace di catalizzare capannelli di appassionati che vi si accalcano intorno. Ogni tanto qualcuno sorride, dopo aver riconosciuto le maniglie delle portiere di quell’oggetto ipertecnologico: sono le stesse della 2CV.