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martedì 13 febbraio 2024

MIGUEL ÁNGEL GUERRA A IMOLA CON LA MARCH BETA F1 PER IL DOCU-FILM SU VITTORIO BRAMBILLA E BETA MARCH TEAM


Il prossimo 1 Marzo il campione argentino Miguel Angel Guerra arriverà all’Autodromo di Imola, per rendere omaggio a Vittorio Brambilla attraverso il “Progetto Beta”. 

Migel Ángel Guerra sarà al volante della March Beta F1 numero 9 del 1976 per due giorni di riprese volte alla realizzazione del docufilm dedicato al pilota monzese e al Beta March Team.

 

“Voglio innanzitutto ringraziare l’amico Roberto Farneti per aver pensato e me e avermi invitato a prendere parte a questo ambizioso progetto di Beta in ricordo di Vittorio Brambilla. Sono entusiasta di tornare al volante della March Beta F1 761, una macchina straordinaria che ho già avuto modo di apprezzare in questi ultimi anni proprio in occasione dell’Historic Minardi Day a Imola, grazie alla disponibilità e generosità di Roberto” il commento di Miguel Ángel Guerra.



Nella foto da sinistra: Miguel Ángel Guerra, Gian Carlo Minardi, Roberto Farneti (Historic Minardi Day, Imola)

sabato 20 gennaio 2024

Arnaldo Bernacchini racconta al MAMS i rallies visti dal sedile del navigatore


di Massimo Campi - Immagini ©Raul Zacchè e Archivio Bernacchini

Arnaldo Bernacchini è stato uno dei più famosi personaggi nel mondo dei rally mondiali. Commissario di gara, pilota, navigatore, organizzatore, sono questi i tanti volti della sua lunga carriera. Il Monza Auto Moto Storiche lo ha incontrato durante una serata condotta dal Presidente Luigi Ubezio e dall’esperto Ugo Vicenzi, fotografo, appassionato ed autore di libri sul motorsport con la partecipazione anche di Maurizio Verini. Nato nel 1941, Bernacchini è un uomo con una serie infinita di ricordi ed aneddoti su quel mondo che ha rappresentato una parte importante della sua vita. La passione per le corse arriva ben presto nella vita di Arnaldo.

“il primo entusiasmante ricordo risale a quando ero un bambino di sei anni quando mio padre mi ha portato a vedere il Gran Premio d’Italia del 1947 sul circuito stradale che era stato realizzato a Milano attorno alla zona del Portello, che poi diventerà la Fiera Campionaria. L’odore di benzina, i suoni, i colori e l’Alfa Romeo 158 che sfreccia sull’asfalto e vince la gara con Carlo Felice Trossi. A 20 anni inizio a fare il commissario di pista a Monza. La prima gara in cui mi ritrovo al bordo della pista è il drammatico Gran Premio del 1961, con il dramma di Von Trips.”

Dal bordo delle pista Bernacchini passa alla guida di una macchina da corsa e fa il suo debutto nel mondo dei rally

“Romolo Tavoni, nel 1965, crea la Formula 875 Monza, con il motore della Fiat 500 Giardiniera ed il prezzo di sole 875.000 Lire. Convinco mio padre all’acquisto della monoposto che aspetto con grande trepidazione. Intanto inizia la stagione 1965 dove continuo a fare il commissario di pista e tra i colleghi di percorso c’era Rossi che mi porta nella sede del Jolly Club in Piazza della Repubblica a Milano per conoscere l’ambiente. Era il mese di febbraio e stavano preparando il Rally dei Fiori che finiva a Sanremo. Mi presentarono Angiolini che mi propose di iniziare come navigatore di rally al fianco di Stefano Monti, anche lui alla prima gara, con la sua Alfa Romeo Giulietta del 1959 preparata da Baggioli. Era uno nuova esperienza e così è iniziata la mia avventura come navigatore, aspettando quella di pilota con la F.875 Monza.”

Con le monoposto corre tre stagioni.

“Finito il mio primo rally ero pronto ad entrare nell’abitacolo della mia CRM F.875 Monza. Inizio subito bene, sono terzo alla prima gara e quarto alla seconda, alla fine stagione sono terzo in classifica generale. In quelle due stagioni dove ho partecipato al Trofeo Cadetti come pilota, continuavo l’attività come copilota nei rally ed oltre alla F.875 Monza ho guidato nel 1967 la F.850 con cui ho fatto due gare in pista, a Monza e Vallelunga e quattro gare in salita”.

Alla fine Bernacchini abbandona l’abitacolo delle piccole formule addestrative e sceglie i rally

“I rally mi attiravano sempre di più e l’esperienza con le monoposto è finita con lo scambio tra la mia Bellasi Formula 850 ed una Fulvia Gr.1. Inizio la stagione 1969 con il Rally di Sanremo alla guida della Lancia in coppia con Piero Sodano come navigatore. L’ultimo rally della stagione era L’Alpe della Luna ad Arezzo, allora mi sono portato dietro mia moglie ed una sera, dopo avere passato tutta la giornata a fare le note, arriviamo nella pensioncina dove dormivamo ed il proprietario mi dice che dovevo richiamare al telefono un certo signor Munari. Chiamo subito Sandro, ci conoscevamo, mi dice che il suo navigatore John Davenport non poteva partecipare al rally per via della licenza straniera non ammessa a quella gara italiana ed aveva bisogno di un sostituto. Rimango sorpreso dalla richiesta, chiamo subito Roberto Angiolini spiegando la richiesta di Munari che subito ribadisce - non si può dire no al Drago ed a Fiorio, stai scherzando? Molla la tua Fulvia e vai subito a fare il navigatore di Sandro!”

Da quella esperienza nasce la collaborazione con la Lancia ufficiale

“Il mattino dopo parto con Munari per fare un giro di ricognizione con le note di Davemport, subito ci siamo trovati in sintonia e siamo arrivati solo secondi per colpa di un problema di accensione che ci ha fatto prendere un minuto di ritardo ad un controllo orario. Dopo il rally ho riportato anche il muletto della Lancia fino a Torino ricevendo i ringraziamenti e le congratulazioni da Cesare Fiorio. Sono ritornato al mio lavoro giornaliero con la compagnia dei taxi di famiglia quando arriva una nuova telefonata, era la segretaria di Fiorio che mi chiedeva se volevo fare il San Martino di Castrozza con Munari. Ovviamente accetto, va tutto bene, da quel momento cambia la mia vita ed entro a far parte della squadra ufficiale del marchio torinese.”

Bernacchini, al fianco di Sandro Munari vince il titolo italiano rally 1969. Arnaldo in seguito corre con i più grandi piloti dell’epoca: Munari, Ballestrieri, Barbasio, Pinto, Carello, Verini, Bacchelli, Pianta, Bettega, Zanussi, Tognana e Adartico Vudafieri, con il quale vince il campionato europeo nel 1981. Oltre alla tuta da pilota indossa anche quella da organizzatore nel Reparto Corse ed occasionalmente ritorna a leggere le note nell’abitacolo con vari piloti tra cui Michele Alboreto facendo da navigatore in una edizione del Monza Rally Show con l’Alfa Romeo 155DTM.
























giovedì 18 gennaio 2024

La nascita della Dallara

 


di Massimo Campi – immagini Raul Zacchè


La storia di Giampaolo Dallara inizia nel 1959, quando viene chiamato a Maranello per lavorare in Ferrari dopo la laurea in ingegneria aeronautica. Una prima esperienza fondamentale che avrà il seguito nella Casa del Tridente tre anni dopo. Nel 1963 l’Ingegnere Dallara è il Direttore Tecnico della Lamborghini e nel 1966 è uno degli artefici della leggendaria Miura, la Granturismo che rivoluziona il mondo delle supercar. Il progetto della prima Formula 1 arriva nel 1969 con la De Tommaso per il Team di Frank Williams, ma intanto l’Ingegnere Dallara inizia a studiare una piccola vettura sport che prenderà la luce tre anni dopo.

Il 15 gennaio 1972 a Varano de’ Melegari viene fondata la Dallara Automobili. Nella piccola sede in provincia di Parma inizia la produzione di vetture Sport Prototipo ed in contemporanea nascono una serie di collaborazioni esterne con importanti marchi che vogliono sviluppare vetture da competizione. Tra i primi progetti sviluppati a Varano ci sono quelli con la Lancia e la Dallara contribuisce alla realizzazione della Lancia Stratos ed in seguito la Beta Montecarlo Turbo, Rally 037, LC1 e LC2. 

Il marchio Dallara si afferma negli anni ’80 con la realizzazione delle prime monoposto di Formula 3. A Varano si investe nei macchinari per la lavorazione dei compositi e le monoposto parmensi invadono il campionato con vetture sempre più vincenti. 

I successi della factory si espandono anche oltre oceano, e la Dallara monopolizza il mercato delle monoposto per le gare Indy americane. Oggi il costruttore italiano è presente con le sue monoposto in tutti i campionati Formula 3, è il fornitore unico di vetture ai campionati IndyCar, Indy Lights, World Series by Renault, Super Formula e Formula E.

In Formula 1, dopo la De Tommaso, ha realizzato i telai per la Scuderia Italia a fine degli anni ’80, poi ha collaborato con la Honda e nel 2009 ritorna nella massima formula 1 con la scuderia Campos Grand Prix e dal 2016 fornisce il telaio alla Haas. Ha realizzato anche le prime Ferrari F333SP, la barchetta che ha segnato il ritorno del cavallino rampante tra le ruote coperte.

A Varano si è sempre investito nelle tecnologie di avanguardia, nel 1980 viene realizzata una prima galleria del vento cui seguirà una seconda e vien realizzato anche un simulatore di guida per la Formula 1. La Dallara Academy nasce nel 2018 ed è una struttura polifunzionale con laboratori didattici per lo studio dell'aerodinamica. 

Il 16 novembre del 2016, giorno dell'ottantesimo compleanno di Giampaolo Dallara, viene presentata la dallara Stradale, una barchetta priva di portiere, una vettura nata da un sogno dell’Ingegnere parmense, una macchina con caratteristiche di guida eccezionali con prestazioni al top. Una vettura costruita per potere guidare sulla strada ed in pista con il massimo divertimento grazie al il ridottissimo peso, ottenuto con l'utilizzo della fibra di carbonio per telaio, carrozzeria e componenti meccaniche, che si attesta a soli 855 kg a secco e il carico aerodinamico di 820 kg alla velocità massima, che permette alla vettura di superare i 2 G di accelerazione laterale in curva. L’attività della dallara continua con importanti collaborazioni con la Ferrari per la 499P e la Cadillac nel WEC. 


martedì 9 gennaio 2024

Alberto Colombo, campione con poca fortuna




di Luciano Passoni 

Il mondo dell’automobilismo sportivo piange la figura di Alberto Colombo. Gli appassionati, i tifosi e gli addetti ai lavori ricordano ancora la sua inconfondibile figura che appartiene a quella generazione di “ragazzi”, nata nell’immediato dopoguerra, che inseguiva il sogno della partecipazione al mondo delle grandi corse, stimolati dal mito di Monza e del suo autodromo, a due passi da Varedo, dove era nato, dei grandi piloti quali Ascari, Villoresi, Castellotti, se non Bandini e Baghetti, e dei costruttori, su tutti Ferrari e Alfa Romeo. L’occasione è data, nella seconda metà degli anni ’60, dalla nascita della Formula 875 Monza, la categoria che contribuì al lancio dei piloti che poi si sono fatti onore, proprio in quei Gran Premi tanto ambiti, tra la metà degli anni ’70 e gli anni ’90. Alberto comincia con una CRM sponsorizzato dai Cerchi SanRemo, l’azienda di famiglia, che darà il nome anche ai Team che formerà in anni successivi. Passa poi alla LAB, acquistata da tale Pizzetti di Rivolta D’Adda. Costui non l’ha mai usata in gara per la forte contrarietà del padre che era gestore del Samoa, ristorante e night club della cittadina cremasca, e non voleva sentir parlare di corse al punto da desiderare, per il figlio, passatempi e “paradisi” diversi. “Preferirei vederlo fuggire con una delle ballerine del mio locale” affermava.

Da subito, Alberto si dimostra forte vincendo, nel 1968, quattro gare; un anno combattuto e travagliato, molte squalifiche tra i tanti piloti e classifiche sempre sub-judice per le tante irregolarità riscontrate. Farà sua la Coppa C.S.A.I e il secondo posto nel Trofeo Cadetti. Passa alle categorie maggiori, Formula 850 e Ford, sino ad arrivare nel 1974 al titolo italiano della Formula 3. Partecipa al campionato europeo di Formula 2, settimo assoluto nel 1977 con una March-BMW. Nell’italiano della stessa categoria è secondo dietro Riccardo Patrese. Nel 1978 ha l’opportunità della Formula 1, prima con l’ATS e poi con la Merzario. Con scarsa fortuna non riuscirà a qualificarsi nei GP dove è impegnato e tornerà alla Formula 2; diventerà istruttore per la C.S.A.I. e apprezzato manager in Formula 3000. Tenterà di diventare costruttore in F1, ma la Riviera, questo il nome scelto per la vettura, non riuscirà mai a scendere in pista per le difficoltà finanziarie legate al progetto.




 

lunedì 1 gennaio 2024

Jacky Ickx, campione non solo a Le Mans


- di MASSIMO CAMPI

- foto di RAUL ZACCHÈ - ACTUALFOTO


Bruxelles, 1° gennaio 1945, in una Europa ancora devastata dalla seconda guerra mondiale nasce Jacques Bernard “Jacky” Ickx. La sua è una famiglia agiata, il padre è un giornalista ed ha anche un fratello, Pascal, pure lui pilota prima di seguire le orme paterne e fare il giornalista. Presto il piccolo Jacky inizia a giocare con i motori. Inizia come molti giovani con le due ruote, ma non sull’asfalto, ma nella nuova disciplina che si va diffondendo in Europa, il Trial dove si fa subito notare.


Come molti il salto dalle due alle quattro ruote arriva presto ed a soli 20 anni, nel 1965, conquista l titolo belga categoria Turismo con una Lotus Cortina e, in coppia con Hubert Hahne la 24 ore di Spa con una BMW 2000 Ti. Passa con disinvoltura dalle ruote coperte alle monoposto dimostrando una grande versatilità e competenza tecnica, qualità su cui costruirà tutta la sua invidiabile carriera.


Jacky Ickx debutta in F1 nel Gran Premio di Germania 1966 alla guida di una Matra di F.2, categoria di vetture ammessa alla gara tedesca per rinfoltire la griglie di partenza, e si rende protagonista di un urto con la Brabham di John Taylor, che morirà circa un mese più tardi a causa delle ustioni procuratesi dall’incendio susseguente all’incidente. L’anno seguente sarebbe salito agli onori della cronaca per le sue prestazioni: nonostante la disparità di potenza (oltre 150 cv di differenza con le più potenti F1), Ickx si qualificò in quarta posizione, mentre la pole fu appannaggio di Jim Clark. Costretto dal regolamento a prendere il via della gara alle spalle dell’ultima qualificata tra le Formula 1, nel corso di una manciata di giri Ickx tornò strepitosamente in quarta posizione. Sfortunatamente, in pieno recupero sul trio di testa, fu fermato da un guasto meccanico, che lo costrinse ad abbandonare la gara, risparmiando una cocente umiliazione ai piloti a bordo delle Formula 1. Finisce la stagione guidando una vera formula 1, la Cooper-Maserati ufficiale, a Monza e negli Usa dove conquista il suo primo punto iridato arrivando sesto.


Nel 1967 nasce il campionato europeo di F.2 e Jacky è al via con una Matra-Cosworth della Tyrrell Racing Organisation. Nella categoria corrono anche i top driver di F.1 che però non possono prendere punti in campionato. Jochen Rindt e Jim Clark, Jackie Stewart sono i mattatori sempre sui gradini più alti del podio, il giovane belga  vince al Nurburgring,  Zandwoort ed a Vallelunga, nella altre gare è spesso a ridosso degli assi, a fine anno conquista il titolo davanti a Frank Gardner e Jean Pierre Beltoise. La grande occasione, che lancerà la sua carriera, arriva proprio nel 1967, durante l’Eifelrennen di F.2 in Germania dove sale sul gradino più basso del podio dietro a Jochen Rindt e John Surtees.




La F.1 si interessa al giovane belga ed il suo nome è segnato su diversi taccuini dei team manager. “Quella gara fu la svolta della mia vita” sono le parole di Ickx “il mio nome iniziò a circolare in diverse squadre e Ferrari mandò Franco Lini, l’allora direttore sportivo, ad Enna per sondare la mia possibilità di correre in F.1 con le rosse. In seguito appresi che Ferrari era in contatto anche con Jackie Stewart. Io avevo solo 22 anni, stavo bruciando le tappe, stavo entrando a fare parte del mondo dei grandi, davanti a Ferrari mi sentivo piccolo, un ragazzino, se la trattativa andava avanti avrei senz’altro detto di si, senza nessuna riserva!”


Jackie Stewart si presentò a Modena con il suo avvocato-manager e relativa lista di richieste. Durante l’incontro con Enzo Ferrari tirò fuori la lista con la lunga serie di richieste, Enzo Ferrari si indispettì subito e rivolgendosi a Lini in Modenese disse “ma cosa vuole sto inglese anche la fabbrica?” Stewart che non parlava italiano capì la parola “inglese” e subito corresse con “Scozzese prego!” Ovviamente la trattativa tra lo scozzese ed il modenese fu subito interrotta e si aprirono le porte per Jacky Ickx che divenne compagno di Chris Amon per il 1968.


La Ferrari 312 ha diversi problemi, ma Ickx riesce a conquistare la sua prima delle otto vittorie in F.1 a Rouen in Francia, nella gara del dramma di Jo Schlesser con la Honda. Una gara sotto la pioggia che subito gli vale la fama di grande pilota sul bagnato. Finisce la stagione quarto in campionato alla spalle di Graham Hill, Stewart e Hulme.

Nel 1969 Ickx abbandona momentaneamente Maranello “Ferrari voleva l’esclusiva ed io desideravo correre altrove, soprattutto con John Wyer con i prototipi. Non trovammo l’accordo, ci separammo, andai alla Brabham, vinsi due gran premi e la prima 24 ore di Le Mans, ma tutto avvenne con la massima cortesia e rispetto tra me ed il commendatore. Le nostre strade si incrociarono nuovamente nel 1970, con la nuova 312B, un grande successo.”


Jacky Ickx porta a Maranello una innovazione, quella del libero professionista, non si sentirà legato ad una squadra, ma corre soprattutto per lui, per vincere. Una grande stagione, quella del Belga, nel 1969, con la Brabham disegnata da  Ron Tauranac vince al Nurburgring ed a Mosport Park in Canada, è secondo in campionato alle spalle di Stewart con la Matra di Ken Tyrrel. Con la Ford GT40 di John Wyer vince a Sebring ed a Le Mans in coppia con Jackie Oliver. La maratona della Sarthe 1969 è il suo grande capolavoro: parte ultimo, per protesta contro la classica partenza a lisca di pesce con i piloti che corrono e saltano nella vettura. La ritiene troppo pericolosa, in genere non vengono mai allacciate le cinture di sicurezza ed il gran casino che si scatena tra le varie vetture con prestazioni molto differenti è estremamente pericolo ed anacronistico per una gara professionale. Ickx attraversa lentamente il rettilineo mentre tutti gli altri corrono e partono all’impazzata, sale lentamente in macchina, si allaccia le cinture e parte, ultimo. Alla sua Ford GT40 non viene accreditata nessuna chance di vittoria contro le nuove potenti Porsche 917 e le affidabili 908. Ma le vetture tedesche hanno problemi, a pochi istanti dallo scadere dei due giri d’orologio si ritrova secondo con la bianca Porsche di Hans Hermann nel mirino, Ickx è velocissimo, intuisce che ce la può fare, la GT40. Ultimo giro, sulle tribune tutti attendono il verdetto finale, da Maison Blanche spunta l’azzurra GT40 davanti alla bianca Porsche. Per Jackie Ickx è un trionfo, per la Porsche un’amara sconfitta. Il belga che aveva passeggiato sulla linea di partenza proprio 24 ore prima, ha dimostrato che non serve correre a piedi per vincere la 24 di auto, ma si deve guidare, e forte!



Ickx è una star, nel 1970 torna al volante delle vetture di Maranello. La nuova 312 Boxer progettata da Mauro Forghieri va forte, ma ha ancora problemi di affidabilità. La prima parte del campionato è disastrosa, il Team compie diversi errori e la 312 non è adeguatamente sviluppata. La Ferrari è ancora una piccola squadra ed è impegnata su troppi fronti con poche risorse umane con conseguenze sulla competitività delle vetture. A Jarama ha anche uno dei peggiori incidenti della sua carriera quando la sua vettura entra in collisione con la BRM di Oliver ed entrambe prendono fuoco. Ickx riesce ad uscire dalle fiamme indenne, ma con un grosso spavento. Nella seconda parte della stagione la situazione migliora, Ickx si riscatta vincendo in Austria, ma Rindt con Lotus ha preso il volo in classifica, fino al dramma di Monza.


Per vincere il mondiale Jacky Ickx deve vincere le tre gare restanti. Centra il primo obiettivo, ma arriva quarto negli Stati Uniti, rendendo inutile il suo trionfo in Messico. Non avesse pagato lo scotto della scarsa competitività iniziale della sua Ferrari, ed alcuni errori grossolani del team, Ickx avrebbe finalmente conquistato il tanto agognato mondiale. Il belga si classificò così per la seconda volta consecutiva al secondo posto alle spalle dell’unico campione postumo di F.1, Jochen Rindt. “Meglio così” è il commento di Ickx “non mi sarebbe piaciuto strappare il titolo a Jochen che lo meritava pienamente”

Con la squadra di Maranello ci rimane altri due stagioni. In F.1 le rosse hanno sempre più problemi, ma con i prototipi di 3 litri Ickx è sempre uno dei protagonisti ed una delle colonne principali della squadra. Nel 1971 Ickx rimane in Ferrari, con grandi speranze per il titolo, ma non va oltre il quarto posto in classifica piloti e una sola vittoria in Olanda. Stessa cosa anche l’anno successivo, con risultati quasi identici. Il belga è un pilota velocissimo, ma spesso è insofferente alle regole del cavallino rampante, non ama passare le giornate in pista a fare test, ed è presto soprannominato “pierino la peste” per il suo carattere non proprio accomodante. Il 1973 fu un anno disastroso, con la Ferrari in crisi tecnica e gestionale, che partecipa raramente con più di una vettura e salta alcuni Gran Premi. Tra il Belga e la Rossa è ormai divorzio “dopo il G.P. di Inghilterra Ferrari decise di ritirare le sue vetture per prendere tempo e ritrovare la competitività. Lo incontrai e gli dissi di fare come voleva, ma io vado a correre al Nurburgring con una McLaren. Ferrari mi lasciò fare, capì, era un grande uomo”.

Sul tracciato dell’Eifel Ickx arriva terzo, conquistando l’unico podio della stagione e dimostrando di essere ancora un valido pilota. Lasciò dunque la Ferrari proprio alla vigilia del riscatto delle Rosse nell’era di Luca Montezemolo e passò alla Lotus, reduce dalla vittoria titolo costruttori con Emerson Fittipaldi (passato ora alla McLaren) secondo e Ronnie Peterson terzo. Purtroppo incappò in un’annata tribolata, con la vettura vecchia (la “72 D” ormai obsoleta e la nuova “76” che si dimostrò fallimentare. Nel 1975 la Lotus prosegue con la vecchia “72” e Jacky lasciò il team a metà stagione.


Le monoposto interessano sempre meno al Belga, che continua a correre con team minori e poche speranze. Alcune gare con la Williams per poi passare alla Ensign, dove rimase fino al 1978 senza mai ottenere punti, partecipando solo ad un limitato numero di eventi. Nel 1979, ultimo anno della sua carriera, corse per la Ligier nella seconda parte della stagione, in sostituzione dell’infortunato Patrick Depailler, ed ottenne tre punti. Finisce così l’avventura con le monoposto, con otto vittorie e due volte vice campione del mondo.

È con le ruote coperte, nella categoria Sport Prototipi che, per circa quindici anni, Jacky ha ottenuto i migliori successi, correndo sempre per scuderie di primo piano. Ickx è stato definito “Monsieur Le Mans”, avendo stabilito un record di 6 vittorie nella 24 Ore , superato solo da Tom Kristensen che ha colto nove centri. Ha inoltre vinto cinque volte la 1000 km di Spa, tre volte sul vecchio pericolosissimo tracciato di 14 km e due sul rinnovato circuito, la 24 Ore di Daytona nel 1972 e la 12 Ore di Sebring nel 1969 e 1972.


Dopo la prima vittoria nel 1969 Jacky tornò al successo a le Mans nel 1975 per la prima di tre vittorie consecutive della maratona: la prima con la Gulf-Mirage e le altre due con la Porsche 936. Con la Porsche inizia un grande sodalizio, Ickx diventa il principale pilota di riferimento per la casa tedesca e la collaborazione porterà parecchi frutti per entrambi. Dopo un secondo posto nel 1980, anche nel 1981 vince a Le Mans sempre su Porsche 936, in una versione aggiornata che portava al debutto in gara il nuovo sei cilindri raffreddato ad acqua che equipaggerà le porche del futuro gruppo C. Intenzionato a ritirasi, venne convinto dalla Porsche a restare per affidargli lo sviluppo della “956”, la nuova arma della casa per le gare di durata. Con quella vettura Ickx vince nel 1982 la sua sesta 24 Ore di Le Mans e conquista il Campionato mondiale Endurance 1982 e 1983. Con la Porsche continua a correre fino al 1985, anno in cui, durante la gara di Spa, è coinvolto nell’incidente che causerà la morte di Stefan Bellof. Al termine della stagione si ritira dalle competizioni.


Contraddistinto da un’innata capacità d’analisi, da una versatilità ineguagliata che gli ha permesso, nel corso della sua lunga carriera, di trionfare in ogni categoria in cui abbia corso, Ickx è stato nominato “Driver del Secolo”. Nessun altro pilota, infatti, può vantare un palmares tanto completo, che include vittorie in Formula 1, Sport, Prototipi, Turismo e Granturismo, Rally-Raid e motociclismo. Jacky Ickx è noto soprattutto per la sua elevata versatilità e polivalenza, che gli hanno permesso di vincere in discipline diverse. Oltre ad essere stato per due volte vice campione mondiale  in F.1, campione europeo in F.2, campione mondiale Endurance per due anni consecutivi, è stato campione della serie CanAm, nel 1979 con la Lola T333 CS Chevrolet del Team Haas , mentre nel 1983 ha vinto la Parigi-Dakar con una Mercedes 280G nel 1982 in coppia con Claude Brasseur.




Ickx è stato spesso criticato, nei primi anni della sua carriera, come pilota dal carattere spigoloso e presuntuoso. Odiava le sessioni di test, soprattutto a Fiorano, il circuito della Ferrari e con la stampa non sempre c’erano buoni rapporti. In parte la sua scarsa propensione ai test ed alcune prese di posizione sullo sviluppo della monoposto hanno minato le probabilità di essere campione mondiale, ma il Drake ha comunque sempre espresso un buon giudizio sulle doti del belga “Un connubio di ardimento e calcolo. Nel primo anno maturò un’esperienza che prometteva grandi frutti, poi per quattro anni abbiamo inseguito il titolo mentre ci venivano attribuite polemiche spesso inconsistenti. Al di là del funambolismo giornalistico. Qualche suo atteggiamento, che gli valse tra i miei collaboratori l’appellativo di Pierino il terribile non mi ha cancellato il ricordo di un ragazzo cresciuto in fretta e l’impressione di quella sua guida fine e temeraria sotto la pioggia”.


Il suo primo matrimonio con Catherine Blaton destò clamore in Belgio. Era nipote del pilota belga “Beurlys” Blaton ed erede di un grande patrimonio immobiliare. Dalla loro unione nacque Vanina, anche lei seguì le orme del padre.

Successivamente Ickx è tornato in Formula 1 nel ruolo di direttore di gara. In queste vesti suscitò forti polemiche nel 1984 la decisione di sospendere per pioggia il Gran Premio di Monaco al 31º giro, proprio nel culmine della lotta tra Alain Prost e Ayrton Senna che si contendevano la prima posizione. In quell’occasione Ickx venne accusato di voler favorire Prost ai danni del brasiliano, anche a causa del suo rapporto professionale con la Porsche, che forniva anche il motore alla McLaren. Attualmente si vede in varie manifestazioni d’epoca come la Mille Miglia e il Monaco Historique in veste di testimonial.

sabato 23 dicembre 2023

Michele Alboreto, dalla F. Monza alla F. 1


di MASSIMO CAMPI
Foto di RAUL ZACCHE' - ACTUALFOTO

Non ha vinto il mondiale, ma il ricordo di Michele è ancora forte tra gli appassionati, chi lo ha conosciuto lo ricorda ancora per le sue doti, come pilota, ma soprattutto come uomo. Per iniziare a correre, a dare sfogo alla sua passione, aveva dovuto fare molti sacrifici, poi ripagati da una straordinaria carriera, ma come persona era sempre disponibile, facendo della gentilezza una delle sue migliori doti anche fuori dall’abitacolo.

Michele Alboreto è nato il 23 dicembre 1956, a Rozzano alle porte di Milano, ed ha rappresentato un grande esempio di determinazione, passione e tanta voglia di fare e di dimostrare. Alboreto, pur non essendo mai diventato campione del mondo, ed in quel lontano e sfortunato 1985 con la Ferrari lo avrebbe sicuramente meritato, ha rappresentato una figura emblematica per tanti giovani, e per tanti tifosi. La grande forza di Alboreto è stata quella di essere un uomo, ancor prima che essere un pilota. Era considerato un pilota dal piede pesante, ma soprattutto con una testa pensante, che sapeva sempre fare funzionare cercando di cogliere il migliore risultato possibile in ogni occasione. La sua è stata una carriera molto importante, ed è stato l’ultimo che è riuscito a realizzare il sogno del pilota italiano al volante di una rossa.



Enzo Ferrari non voleva italiani, non voleva ulteriori polemiche in caso di incidenti o di lutti, ma dopo tanti anni aveva voluto Alboreto, ed il milanese è stato un pilota importante nella storia della rossa. E’ arrivato nel 1984 e ci è restato fino al 1988, quando è morto il Drake. Se ne è andato da Maranello in silenzio, senza fare polemiche, anche se avrebbe avuto molto da recriminare, soprattutto dal punto vista tecnico e sportivo. Ma Michele Alboreto non è stato solo un campione con le vetture di Maranello, ha corso e vinto anche con le Porsche.
Sentir parlare Alboreto, durante una intervista o una conferenza stampa, aveva un significato particolare: mai banale, sempre cercando il perché delle cose e delle situazioni, a volte sarcastico nei suoi giudizi, a volte con una vena polemica, ma sempre garbata. Prima di essere un pilota era un uomo, sempre disposto a mettersi in discussione, ed a costruire un futuro.
La vittoria più grande di Alboreto è stata alla 24 Ore di Le Mans, nel 1997, con la TWR Joest, un risultato che lo lancerà nella grande squadra Audi di Wolfgang Ullrich quando parte l’avventura del team tedesco.

La determinazione e la passione sono sempre state due costanti nella sua carriera: aveva ancora tanta voglia di correre, di ottenere ancora dei risultati come la vittoria a Le Mans e quella di Sebring del 2001, la sua ultima. Voleva conquistare ancora un’altra vittoria sulla Sarthe, proprio con quell’Audi che lo ha tradito.
Il suo casco era facilmente riconoscibile: blu intenso con la striscia gialla, gli stessi colori di Ronnie Peterson, l’idolo della sua gioventù, un pilota che come Michele non è riuscito a conquistare l’alloro mondiale, ma il cuore di molti tifosi, per come guidava in pista, per come sapeva essere un signore delle piste, proprio come Alboreto.

Michele Alboreto era questo, e tanto altro. Con lui è anche finita un’epoca, nella quale i piloti iniziano a correre per merito e arrivano in alto, non per la valigia, ma per le proprie qualità, velocistiche e professionali. Riescono a fare sognare le folle al volante di una rossa e continuano a fare i professionisti ad alto livello per molte stagioni ancora, senza mai arrendersi. Ma soprattutto finisce anche un’epoca dove i piloti sanno essere anche uomini, non solo delle star o dei semplici robot al servizio degli sponsor, e vengono apprezzati anche e soprattutto per questo.

Oggi avrebbe compiuto 67 anni se la sua vita non fosse stata prematuramente spezzata il 25 aprile 2001, quando la sua Audi, durante un test al Lausitzring ha preso il volo mettendo fine ad una storia difficilmente ripetibile.




venerdì 22 dicembre 2023

La Wolf WR1 vittoriosa al debutto con Jody Scheckter.



di Massimo Campi – immagini ©Raul Zacchè

 

Appassionato di auto da competizione, Walter Wolf, un magnate canadese del petrolio appassionato di vetture sportive, conosce Gian Paolo Dallara che a sua volta lo mette in contatto con Frank Williams. L’ingegnere di Varano de Melegari aveva già collaborato alla progettazione della monoposto De Tomaso che era stata gestita da Williams nel 1970. Dallara, inoltre, era stato uno dei progettisti della Lamborghini Miura e Walter Wolf che nel 1975 aveva già acquistato il 51% delle azioni della Lamborghini diventa anche socio al 60% della neonata Frank Williams Racing Cars che si appresta a correre nella massima formula con una sua vettura. L’idea è quella di portare il marchio di Santagata nella massima formula, ma gli altri azionisti della casa emiliana bocciano il progetto ed il Team Williams acquista delle Hesketh 308C, assieme ad altro materiale dal team del Lord Inglese che stava abbandonando l’attività. Assieme a vetture ed attrezzature, arrivano alla struttura di Frank Williams e Walter Wolf alcuni meccanici ed il giovane progettista Harvey Postlethwaite.

In seguito Walter Wolf prende sempre più potere nella squadra, Frank Williams e Patrick Head sono messi in un angolo e la Walter Wolf Racing inizia ufficialmente ad esistere dal 5 luglio 1976 debuttando al GP di Spagna con Jacky Ickx e Michel Leclère alla guida delle vetture. Intanto debutta anche Peter Warr, come direttore sportivo che proveniva dalla Lotus.




Per la stagione 1977 Walter Wolf realizza la sua prima vettura completa, progettata da Postelthwaite. La Wolf WR1, venne presentata l’8 novembre 1976 presso il Royal Lancaster Hotel di Londra. È una monoposto con monoscocca di alluminio su cui è montato il motore Ford Cosworth DFV, unito ad un cambio Hewland, mentre le gomme sono fornite della Goodyear. Come unico pilota delle scuderia c’è il sudafricano Jody Scheckter, proveniente dalla Tyrrell dove aveva cercato di sviluppare la P34 a 6 ruote. Il sudafricano, dal carattere schivo, è visto da molti come un futuro campione del mondo, veloce e roccioso, aveva già disputato 51 gran premi, vincendone 4, con 1 pole e 3 giri veloci.

Tra i record di Walter Wolf c’è quello di essere riuscito ad utilizzare la pista di Fiorano della Ferrari per alcuni test; è la prima volta che il Drake concede l’ingresso ad un team esterno di Formula 1. Il debutto avviene nella prima gara stagionale in Argentina, e Jody Scheckter sale sul gradino più alto del podio al debutto, un risultato nella storia ottenuto solo dall’Alfa Romeo nel 1950 e dalla Mercedes nel 1954.




Il 9 gennaio 1977 la Wolf WR1 di Jody Scheckter è undicesima in griglia sul Circuito di Buenos Aires, alla partenza la testa della gara venne presa dalla Brabham di John Watson davanti a Niki Lauda, Mario Andretti, Jochen Mass e Carlos Reutemann. Scheckter risale diverse posizioni, approfitta delle varie noie meccaniche e delle uscita di pista di quelli davanti ed al 42º giro quando Watson fu costretto al ritiro per la rottura del semiasse il sudafricano si ritrova secondo dietro la Brabham di Carlos Pace. La Brabham ha problemi alle gomme, la Wolf invece si trova a suo agio sull’asfalto argentino e Scheckter infila il rivale brasiliano al 47º giro al termine del rettifilo che conduceva alla parte più lenta. Dopo sei giri la Wolf WR1 transita per prima sotto la bandiera a scacchi davanti alla Brabham di Pace ed alla Ferrari di Carlos Reutemann. Dopo quel successo Frank Williams e Patrick Head abbandonarono la scuderia per fondare la Williams Grand Prix Engineering ed iniziare la loro nuova storia che li porterà ad importanti successi mondiali.

La Wolf WR1 si dimostra molto competitiva nella prima parte della stagione 1977, Scheckter è secondo in Sudafrica e terzo a Long Beach ed in Spagna. Ritorna sul gradino più alto del podio nel GP di  Montecarlo dominando per tutti i 76 giri di gara e conquistando la centesima vittoria per il Ford Cosworth DFV nella massima formula. La terza vittoria stagionale arriva nel GP del Canada a Mosport, intanto vengono realizzate le nuove WR2 e WR3, i telai successivi dopo la prima WR1, praticamente identici con solo alcuni dettagli aggiornati.

La stagione 1977 della Wolf si conclude con 55 punti conquistati, ed il quarto posto nella classifica costruttori. Jody Scheckter risulta secondo in quella piloti dietro alla Ferrari di Niki Lauda.

La stagione 1978 riparte con la solita monoposto, ma non vede risultati all’altezza di quella precedente. Walter Wolf fa realizzare la nuova WR5 ispirata alla Lotus 78 una monoposto ad effetto suolo. A fine stagione Jody Scheckter firma il contratto con Maranello ed abbandona il team anglo-canadese per la Ferrari dove andrà a conquistare il suo titolo mondiale piloti.


giovedì 16 novembre 2023

16 novembre 1929, nasce la Scuderia Ferrari


di Massimo Campi

Nell'autunno del 1929, il futuro Drake stava lavorando ad un suo nuovo progetto: quello di una squadra corse. Da quando aveva rinunciato a fare il pilota si vedeva sempre più nelle vesti di organizzatore, di “agitatore di uomini” e creare una sua struttura era ormai diventato il sogno ricorrente. Alcuni piloti paganti, i cosiddetti “gentleman driver”, erano disponibili a correre con auto competitive; gli organizzatori stanziavano sostanziosi ingaggi pur di avere piloti celebri che attirassero il pubblico, in compenso l’Alfa Romeo aveva già grossi problemi interni e non era in grado di fornire una adeguata assistenza ai clienti sportivi.
Quel progetto si poteva concretizzare con l’Alfa Romeo che avrebbe fornito le vetture e la Pirelli per le
gomme. Creare una struttura esterna che sollevasse la casa del Portello dagli oneri e dai costi organizzativi sarebbe stata una idea molto interessante e le prime adesioni vennero dai fratelli Alfredo e Augusto Caniato, a cui era appena stata venduta una Alfa Romeo 6C 1500 Corsa . I due gentleman-driver di Ferrara erano disposti a finanziare l’impresa ed a loro si unì Mario Tadini, un facoltoso pilota bolognese. Il primo accordo fu fatto la sera del 12 ottobre 1929, alla cena di gala per festeggiare il record mondiale di velocità conquistato da Baconin Borzacchini sulla Maserati Tipo V4 . 
Il progetto era partito, Enzo Ferrari metteva la sua esperienza, i contatti con l’Alfa Romeo e la Pirelli per avere macchine e gomme, i Caniato e Tadini erano pronti a finanziare la futura squadra corse.

L’avvocato Enzo Levi fu chiamato per redigere l’atto costituente che venne formalizzato il 16 novembre dal notaio Alberto Della Fontana e omologato dal tribunale di Modena il 29 novembre 1929. La nuova “Società Anonima Scuderia Ferrari” era nata e per la sede fu scelta una piccola struttura a Modena in Via Trento e Trieste. Enzo Ferrari sarebbe stato nominato direttore e Mario Tadini presidente della scuderia modenese che aveva raccolto, tramite una serie di azioni, un capitale sociale di 200.000 lire.


L’Alfa Romeo gradì subito la squadra corse, fornendo il team modenese, in questo modo aveva la possibilità di partecipare a più corse, con una ottima pubblicità per il marchio milanese, senza dovere affrontare tutti gli oneri della logistica ed organizzazione sul campo di gara. L’esordio della Scuderia Ferrari avvenne il 26 marzo 1930 alla Mille Miglia con tre Alfa Romeo 6C 1750 condotte da Luigi Scarfiotti, Eugenio Siena e Mario Tadini. Nessuno dei tre piloti raggiunse il traguardo, ma Enzo Ferrari, già abile commerciante ed organizzatore, convinse i vertici del Portello a far correre le Alfa Romeo ufficiali con la nuova scuderia modenese. Nel 1931, oltre ai vari gentleman driver, con alcune Alfa Romeo della Scuderia Ferrari correvano anche piloti del calibro di Tazio Nuvolari e Luigi Fagioli e due anni dopo l'Alfa Romeo si ritirò dalle competizioni, cedendo le sue vetture da competizione ad Enzo Ferrari che continuò a farle correre cogliendo importanti vittorie sulle più importanti piste europee.


martedì 31 ottobre 2023

Derek Bell, una leggenda a Le Mans



- di Massimo Campi

- Immagini © Raul Zacchè/Actualfoto; Massimo Campi

Derek Bell nasce in Inghilterra a Pinner il 31 ottobre del 1941. Il debutto come pilota avviene nel 1962, con una Lotus Seven della scuola di Jim Russel. Ben presto corre in monoposto e tra il 1965 ed il 1967 conquista ben 13 vittorie in F.3 che gli aprono la via nel 1968 alla F.2 dove corre con una Brabham BT23 Ford. Bell è un giovane promettente ed entra a far parte della squadra ufficiale Ferrari nella formula cadetta assieme ad Andrea De Adamich, Tino Brambilla e Clay Ragazzoni. In F.2 corre fino al 1973, conquista una sola vittoria a Montjuich Park nel 1970 con una monoposto di “Sir” Jack Brabham, ma corre anche con le vetture di John Surtees. Il debutto nella massima formula avviene su una Ferrari 312, nel 1968 a Monza, ma non vede la fine della gara e si deve ritirare. Nella sua carriera disputa nove gran premi tra il 1968 ed il 1974, conquistando solamente un punto mondiale nel 1970 nel G.P. degli Stati Uniti a Watkins Glen, al volante di una Surtees TS7-Ford. Nella massima formula corre anche con una Mc Laren, con la Brabham e disputa anche due gare da pilota ufficiale con la Tecno dei fratelli Pedrazzani.

La carriera di Derek Bell ha una svolta importante quando inizia a correre con le ruote coperte. John Wyer nel 1971 lo alterna a Jo Siffert sulla Gulf-Porsche 917 e la prima vittoria in una gara mondiale arriva alla 1000 Km di Buenos Aires, la gara dove si consuma il dramma di Ignazio Giunti.

Finita l’avventura Porsche, John Wyer nel 1972 crea la Mirage e Derek Bell è uno dei principali piloti della scuderia britannica. Corre in coppia con Carlos Pace e Mike “The Bike” Hailwood con il quale conquista nel 1973 la vittoria nella 1000 Km di Spa. Nel 1974 è pilota ufficiale dell’Alfa Romeo, che corre nel mondiale Marche con la 33TT12, ma a Le Mans, lasciato libero dalla squadra italiana, corre con la Mirage in coppia con Jacky Ickx e vince la sua prima maratona della Sarthe. 

Derek Bell a Le Mans è considerato una leggenda vivente: ha debuttato nel 1972 giungendo ottavo con una Ferrari 365 GT ed il suo palmares è uno dei più ricchi nella storia della corsa. Sono ben 26 le edizioni che lo hanno visto al via, ed in questa speciale classifica è superato solamente da Henry Pescarolo e Bob Wollek, ma è tra i primi in assoluto in quanto a vittorie, ben cinque, superato nella storia solamente da Tom Kristensen con nove e Jacky Ickx che ne conta una più di lui.

La coppia Ickx-Bell è stato uno dei sodalizi più vittoriosi nella storia della 24 Ore di Le Mans con ben tre affermazioni: oltre a quella del ’73 con la Mirage-Ford, l’inglese ed il belga sono saliti nuovamente sul gradino più alto del podio con la Porsche 936 nel 1981 ed ‘82. La Porsche è la casa con la quale Derek Bell ha avuto più affermazioni e con la 962 è giunto nuovamente primo a Le Mans nel 1986 ed in coppia con Hans Stuck ed Al Holbert nel 1987, completando il poker di vittorie. Derek Bell è stato per due volte campione del Mondo per la categoria Prototipi, nel 1985 (in coppia con Hans Stuck) e nel 1986, entrambe le volte al volante delle vetture ufficiali Rothmans Porsche ed è terzo nella speciale classifica dei piloti più vittoriosi nel mondiale sport prototipi con ben 21 affermazioni, superato solamente da Jacky Ickx e Jochen Mass, ma nel palmares vanno anche sommate ben 18 vittorie nella seria americana Imsa, di cui è stato vice campione nel 1985, sempre al volante di una Porsche.
La carriera agonistica di Derek Bell continua negli anni ’90 sempre al volante di vetture a ruote coperte, dove conta molto la sua lunga esperienza. Corre con vetture GT1 con i migliori team, alternando Le Mans, dove partecipa per l’ultima volta nel 1996 giungendo sesto con Grouillard e Wallace con gare anche oltre oceano dove corre con Nissan, Spice e Porsche.

In terra americana il nome di Derek Bell figura ben tre volte in cima alla classifica della gara più classica: la 24 ore di Daytona che ha vinto nel 1986, 1987 e 1989, in coppia con piloti del calibro di Al Unser Jr, Bob Wollek, Al Holbert e John Andretti sempre al volante di vetture di Stoccarda. Ed è proprio nella 24 ore della Florida che troviamo per l’ultima volta Derek Bell in una classifica: nel 1997, quando giunge settimo assoluto con la Ferrari 333SP del Team Momo, ponendo fine ad una invidiabile e longeva carriera agonistica, con vetture sempre di alto livello.





 

venerdì 20 ottobre 2023

L’ultima corsa di Gunnar Nilsson


di Massimo Campi - Immagini ©Raul Zacchè/Actualfoto

Il destino lo ha fermato a soli 30 anni, e non per un incidente in pista, come altri piloti, ma per un male incurabile. Stiamo parlando di Gunnar Nilsson, svedese, come il suo grande amico Ronnie Peterson, e se ne è andato a poco più di un mese dalla sua scomparsa.
Era il 20 ottobre di quel tragico 1978, una delle sue ultime comparse pubbliche fu proprio ai funerali dell’amico scomparso a Monza, era debilitato dalle cure e disse ai giornalisti di voler tornare presto in pista al posto di Ronnie, per tenere alto il nome della Svezia nel mondo delle corse.
Gunnar Nilsson non corrispondeva all’immagine del pilota guascone e playboy, tutto pista e modelle. Era un ragazzo semplice ed un pilota serio e coscienzioso. Invitava a casa sua scrittori, artisti e scienziati: il suo salotto era aperto alla cultura. Parlava perfettamente inglese, francese e tedesco, oltre allo svedese. Era particolarmente legato alla madre ed alla sua ragazza.
Era nato a Helsingborg, nel sud della Svezia, il 20 novembre 1948, da una famiglia agiata, anche se il padre Arvid morì quando aveva solo quindici anni, lasciando però abbastanza denaro per dare sfogo alla passione di Gunnar per le corse di auto.
Dopo gli esordi in Formula Atlantic e poi in Formula 3 venne notato da Colin Chapman, che lo volle come seconda guida a fianco dell’esperto Mario Andretti.
Il debutto in Formula 1 nel Gran Premio del Sudafrica, del 1976 con la Lotus 77. Aveva il numero 6, con la livrea nero ed oro dello sponsor JPS, si dovette fermare per un problema meccanico ma conquistò il suo primo podio due mesi dopo, a maggio, nel GP di Spagna dove arrivò terzo dietro a James Hunt e Niki Lauda.

Nella stagione 1976 Gunnar Nilsson salì ancora una volta sul podio nel GP d’Austria e concluse la stagione al decimo posto del Mondiale con 11 punti, ma fu anche il primo collaudatore della Lotus 78 ad effetto suolo. Il 1977 fu l’anno della sua consacrazione. Sempre in coppia con Andretti, la nuova monoposto consentì a Gunnar di vincere il suo primo ed unico GP a Zolder, in Belgio, il 5 giugno 1977. Sotto una pioggia torrenziale, al primo giro Mario Andretti e John Watson entrarono in collisione tra loro lasciando via libera a Nilsson che tagliò il traguardo davanti a Lauda ed a Ronnie Peterson.
Il Gp del Giappone, il 23 ottobre 1977 è l’ultima gara di Nilsson. Ha già in tasca il contratto con la Arrows, per il 1978, doveva essere il compagno di Patrese, mentre al suo posto, in Lotus, ritorna Ronnie Peterson.
La corsa, funestata da un incidente dove muoiono due spettatori, viene vinta da James Hunt. Gunnar Nilsson si ritira al 63° giro per un problema al cambio. 
Poco dopo il Giappone i medici gli diagnosticarono un tumore e Gunnar dovette sottoporsi alle chemioterapie in un ospedale di Londra. L’uomo pieno di vita, esuberante, giovane, capelli sempre al vento, era stato aggredito dal cancro proprio quando cominciava a farsi un nome. Il suo peso scese a 47 kg, i suoi capelli caddero. Lottò con molto coraggio, seppur inutilmente, per mantener fede alla sua promessa di ritornare a correre per un anno. Pochi giorni dopo la partecipazione al funerale di Peterson, tornato a Londra, ebbe un collasso. I
medici non gli nascosero che era alla fine. E allora, di fronte alla morte, si rivelò tutta la grandezza dell’uomo. Rifiutò la morfina e tutto quanto gli avrebbe potuto attenuare il dolore. Aveva ormai un solo pensiero: raccogliere soldi per istituire un fondo per lo studio del cancro. Per raccogliere il denaro fece appello agli amici. Quelli delle corse e quelli che aveva incontrato nella sua vita breve ma intensa: gli Abba, Bjorn Borg, Ingmar Stenmark e tanti altri. E gli amici accorsero mentre lui continuava a scrivere: «Come sai, caro amico, è da un anno che combatto contro il cancro. Ora mi è stato detto che non c’è più niente da fare, che è finita. Vorrei però vincere la mia ultima corsa: quella contro il male che domani o dopo attaccherà altra gente. Per favore, amico mio, aiutami. Invia ai miei medici un contributo per gli studi sul cancro. Aiutami a vincere questa mia ultima corsa».
Poco prima di entrare in coma, il 20 ottobre 1978 nell’ospedale di Charing Cross a Londra, ha afferrato la mano della madre e di Kristine andandosene così, semplicemente.
La Fondazione che porta il suo nome, la Gunnar Nilsson Cancer Foundation, istituita nel 1979 ha finanziato decine di progetti ed iniziative per lo studio e la cura del cancro.