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martedì 21 marzo 2023

Fenomeno Ayrton


- di Massimo Campi -
- immagini di ©Raul Zacchè/Actualfoto

Il 21 marzo 1960 nasceva uno dei più grandi fenomeni della Formula Uno ed immaginare Ayrton Senna oggi è un puro esercizio di fantasia. Forse il brasiliano sarebbe un tranquillo ex campione, con qualche capello grigio ed un po’ di pancetta, magari sagace commentatore per qualche canale televisivo, ma sicuramente ancora innamorato della velocità e di tutti quei titoli mondiale che avrebbe vinto, forse anche colorati di rosso Ferrari. Perfezionista, maniaco in pista e nel paddock, malinconico ed a volte spiritualista quando gli facevi una intervista, generoso, ma senza farlo vedere, con i deboli. Ayrton Senna è stato sicuramente un grande fenomeno, il migliore della sua epoca, forse anche della storia del motor sport, anche se i paragoni con gli altri grandi campioni sono solo frutto di illazioni e di fantasia. I numeri parlano per lui, parlano di una carriera inimitabile, sempre al top, anzi “il top”, ma oltre i numeri ci sono le emozioni, ed anche di quelle Ayrton è stato il numero uno.

“Non esiste curva dove non si possa sorpassare. Arrivare secondo significa soltanto essere il primo degli sconfitti. Io voglio vincere sempre. L’opinione secondo cui la cosa importante è competere è un assurdità. Vincere senza rischi è come trionfare senza gloria!. Ognuno è veloce, in certi momento. Bisogna essere un campione per essere veloce sempre. Pensi di avere un limite, così provi a toccare questo limite. Accade qualcosa. E Immediatamente riesci a correre un po’ più forte, grazie al potere della tua mente, alla tua determinazione, al tuo istinto e grazie all’esperienza. Puoi volare molto in alto.”

In queste frasi la filosofia di vita del brasiliano, una vita sempre al limite, sempre alla ricerca della perfezione, ma anche con un occhio al prossimo.

“I ricchi non possono vivere su un’isola circondata da un oceano di povertà. Noi respiriamo tutti la stessa aria. Bisogna dare a tutti una possibilità. Non potrai mai cambiare il mondo da solo. Però puoi dare il tuo contributo per cambiarne un pezzetto. Quello che faccio davvero io per la povertà non lo dirò mai. La Formula Uno è ben misera cosa di fronte a questa tragedia.”

“Non ho idoli. Ammiro il duro lavoro, la dedizione e la competenza”, una frase, un monito per tanti futuri campioni e per chi ha sempre creduto fermamente in ciò che fa.











martedì 14 marzo 2023

Castellotti, una vita di corsa


Debutto da dimenticare per Eugenio Castellotti nel mondo delle corse. E’ il 1° Aprile 1951, la corsa il Giro di Sicilia, l’auto la sua Ferrari 166 MM Barchetta, condivisa con l’amico Pino Rota. Non vedono la bandiera a scacchi, costretti al ritiro dopo alcune uscite di strada. Ma poco più che ventenne, il  pilota lodigiano pensa già alla seconda gara. Meno convinto il suo compagno di abitacolo che, però, alla fine di Aprile si lascia convincere e lo segue a Brescia per condividere la Ferrari 166 MM nella 1000 Miglia. Eugenio conclude al 50° posto assoluto, sesto di classe. Risultato di rilievo per un pilota alle prime esperienze agonistiche. Segno che gli assidui allenamenti serali sulla via Emilia tra Lodi e Milano non sono inutili. Coppa della Toscana, Coppa delle Dolomiti e Giro delle Calabrie, concluso al terzo posto di classe, sono le altre uscite della prima stagione di corse.
Castellotti è un giovane di talento. La conferma nel 1952 con i colori della Scuderia Guastalla di Luigi Chinetti e Franco Cornacchia. E il primo successo. Dopo la vittoria di classe al Giro di Sicilia, ecco quella assoluta alla Coppa d’Oro di Sicilia con la Ferrari 225 S. Al suo fianco c’è Annibale Broglia. Come alla 1000 Miglia che lo vede subito tra i protagonisti prima del ritiro per una uscita di strada quando è secondo assoluto. La stagione prosegue con altre due vittorie a Oporto, sempre con la 225 S, e a Senigallia con la 166 MM. L’esperienza alla Scuderia Guastalla è positiva per Eugenio che beneficia della presenza di piloti di fama internazionale del calibro di Alberto Ascari e Gigi Villoresi. 

La stagione 1953 inizia però con poca fortuna. Fuori al Giro di Sicilia, fuori alla 1000 Miglia, disputata con una Ferrari 340 Mexico Berlinetta Vignale. Con una 212 S riesce a salire sul gradino più alto del podio del Trofeo Sardo, ma i risultati migliori arrivano nelle corse in salita con le vittorie in due classiche come la Varese-Campo dei Fiori e Bolzano-Mendola. E’ campione italiano della montagna. 

Le prestazioni di Eugenio non passano inosservate. E’ estremamente veloce e sempre più affidabile ed arriva la chiamata della Lancia che gli mette a disposizione una D24 per le gare di durata. Ma alla 1000 km del Nurburgring, che dovrebbe correre con Giovanni Bracco, non riesce a prendere il via a causa di problemi elettrici. Un’altra corsa leggendaria, la Carrera Panamericana, lo vede al terzo posto finale alle spalle di Fangio e Taruffi, che però potevano disporre di auto più performanti. 

Castellotti diventa pilota Lancia nel 1954 e nella scuderia torinese trova Alberto Ascari, due volte iridato di Formula 1. Ancora due ritiri in apertura di stagione a Sebring – con Fangio su una D24 – e alla 1000 Miglia, sempre su D24. Le corse in salita portano un altro titolo tricolore e ben cinque vittorie assolute. 
Da dimenticare la prima corsa con la Lancia D50 di Formula 1, grande debuttante della stagione 1955. Al Gran Premio di Argentina, Castellotti è costretto dal caldo a lasciare la vettura a Villoresi che si ritira. Epilogo analogo alla 1000 Miglia con la Ferrari 121 LM dopo aver chiesto troppo alle gomme per difendere il primo posto da Moss e Jenkinson, che con la Mercedes conquistano vittoria e record della corsa. 

A Montecarlo, primo posto per Maurice Trintignant su Ferrari davanti a Castellotti. Con Alberto Ascari che conclude la sua ultima corsa in mare. Dopo pochi giorni, Ascari e Castellotti si incontrano all’Autodromo di Monza, dove il giovane lodigiano prova la Ferrari 750 Monza in vista del Gran Premio Supercortemaggiore. Ascari, ancora provato dall’esperienza di Montecarlo, chiede a Eugenio di fare qualche giro utilizzando il suo casco e i suoi guanti. La prova si conclude con un incidente mai chiarito in cui Ascari perde la vita. Un duro colpo per il mondo dell’automobilismo sportivo, oltre che per Castellotti. Gianni Lancia decide di ritirarsi e le monoposto di F1 passano a Enzo Ferrari. In Belgio, nel Gran Premio successivo, Eugenio partecipa in forma privata, anche se con i colori Lancia, e ottiene una brillante pole position ma in gara è costretto al ritiro a causa della rottura del differenziale. 

E’ l’ultima presenza della scuderia Lancia in un Gran Premio. Uomini e mezzi passano alla Ferrari. E’ l’anno della tragedia alla 24h di Le Mans – l’11 Giugno 1955 - con la Mercedes 300 SLR di Pierre Levegh che vola tra il pubblico provocando la morte di 83 spettatori, oltre a 120 feriti. Castellotti è in gara con Paolo Marzotto su una Ferrari 121 LM ma, dopo essere stati tra i protagonisti delle fasi iniziali della corsa, concludono anzitempo per problemi al motore. 

Tra gare annullate e campionati ridotti arriva il Gran Premio d’Italia all’Autodromo di Monza, che vede il debutto della curva sopraelevata. Eugenio Castellotti prende il via con una Ferrari 555 - un muletto con cui aveva effettuato alcuni giri durante le prove - schierandosi in quarta posizione grazie al crono ottenuto con la D50 (cambio consentito dal regolamento), non adatta quest’ultima alla corsa per l’eccessivo consumo di pneumatici. Il Gran Premio è dominato dalla Mercedes di Juan Manuel Fangio, al comando dalla partenza alla bandiera a scacchi ad eccezione dell’ottavo giro. Il campione argentino conclude davanti a Stirling Moss con la seconda Mercedes carenata in gara. Terzo posto per Castellotti. Stessa posizione nel Mondiale in una stagione che si conclude con la vittoria alla 10 Ore di Messina. Eugenio si prepara alla stagione 1956 con la certezza che sarà la prima guida della Scuderia Ferrari, che, però, ingaggia Fangio, libero dopo il ritiro della Mercedes, e Luigi Musso, giovane emergente in arrivo dalla Maserati. 

Una stagione straordinaria. La prima gara in Argentina vede Castellotti protagonista in prova ma sfortunato nella gara conclusa anzitempo. Con Fangio trionfa in Florida alla 12 Ore di Sebring con la 860 Monza ma l’apoteosi è alla 1000 Miglia, il 29 Aprile. Sotto la pioggia battente porta al successo la 290 MM, una vittoria che proietta il pilota ai vertici del motorsport. E non solo. Ormai è anche un personaggio da copertina dei rotocalchi anche per la relazione con l’attrice Delia Scala. In pista deve ritirarsi a Montecarlo e a Spa, e in Francia - circuito di Reims – per ordini di scuderia deve accontentarsi del secondo posto alle spalle di Peter Collins. Una decisione poco gradita. 

In luglio si rifà vincendo il gran premio di Rouen per vetture Sport con la Ferrari 860 Monza. La gara sulla pista di casa, il Gran Premio d’Italia, lo vede protagonista in prova – seconda posizione dietro a Fangio e davanti a Musso, tutti su Ferrari – e nei primi quattro giri della corsa, condotti in prima posizione prima del ritiro per problemi a uno pneumatico e conseguente testacoda ad oltre 250 chilometri all’ora. Primo posto finale per la Maserati di Stirling Moss. Come nel 1955, Eugenio è campione assoluto velocità. 

Parte con un nulla di fatto il 1957. In Argentina, Castellotti si ferma quando è terzo per problemi a una ruota. Una settimana più tardi la rivincita. Sulla stessa pista vince insieme a Cesare Perdisa la 1000 chilometri di Buenos Aires con la 290 MM. Poco fortunato il ritorno oltreoceano per il Gran Premio di Cuba per vetture Sport dove colleziona un altro ritiro. 

L’epilogo. L’Italia rimase scossa dalla morte di Eugenio Castellotti, eroe sportivo del momento, vittima di un incidente durante una sessione di prove all’Aerautodromo di Modena. C’era da provare la 801 e da battere, come richiesto da Enzo Ferrari, il record della pista stabilito il giorno prima da Jean Behra con la Maserati. Lo schianto dopo pochi giri. Alla “S”, la Ferrari 801 non curvò e andò a schiantarsi a circa 200 chilometri orari. Tra le ipotesi, la rottura della trasmissione, il blocco dell’acceleratore, la stanchezza – forse - del pilota, che in quei giorni viaggiava spesso tra Modena e Firenze, dove la fidanzata Delia Scala era impegnata in uno spettacolo teatrale. L’incidente alle 17.19 del 14 marzo 1957. Eugenio era nato a Lodi il 10 ottobre 1930.

domenica 12 marzo 2023

Arturio Merzario, il cowboy del motorsport




- di Massimo Campi – foto Raul Zacchè/Actualfoto e Massimo Campi

Millenovecentosessantadue, è l’anno in cui iniziava a correre un giovane Arturio ….e non ha ancora smesso. Tutti lo chiamano Arturo, ma il suo vero nome è Arturio, per un errore anagrafico al momento della registrazione. Di cognome fa Merzario ed è nato il 11 marzo del 1943 a Civenna, sul lago di Como. 
Il debutto nelle corse, con una Alfa Romeo Giulietta Spider, avvenne a Monza, il 14 ottobre del 1962: giunse ottavo. Dopo una stagione con l’Alfa Romeo Giulietta SZ, acquistò una Fiat Abarth 1000 con l’aiuto del padre Giorgio, e ne affidò la preparazione a Samuele Baggioli di Milano. Nel 1964, con questa vettura, sfiorò il titolo di Campione Italiano per vetture turismo e la sua carriera ebbe inizio. Entra nelle grazie di patron Abarth e nel 1968 vinse il Campionato Italiano della Montagna alla guida della barchetta 1000SP. La svolta della carriera giunse con la vittoria del Circuito del Mugello 1969, con una Abarth 2000 e la vittoria nella categoria Sport del Campionato europeo della montagna. Rivince al Mugello nel 1970 e si aprono le porte della Ferrari come giovane promettente italiano. Corre soprattutto con le sport di Maranello: 512S, 512M, e la 312P con il 12 cilindri boxer. Nel 1972 con la biposto di 3 litri domina la Targa Florio in coppia con Sandro Munari, e la 1000 km di Spa con Brian Redman. Corre anche in F.2 ed in F.1 in qualche Gran Premio con la Ferrari dove debutta a Brands Hatch cogliendo il sesto posto.

Finita la stagione delle ruote coperte con la rossa, si lega all’Alfa Romeo dell’Ing. Chiti ed in F.1 corre con la squadra di Frank Williams che gestisce le Iso/Marlboro. Nel 1975, alla guida dell’Alfa Romeo 33, tornò a imporsi nel Mondiale Marche vincendo le gare di Digione, Monza, Enna e Nurburgring. Vinse per la seconda volta la Targa Florio in coppia con Nino Vaccarella. La carriera di Merzario si snoda tra ruote coperte e formule e diventa anche costruttore nel 1978, ma gli scarsi mezzi economici relegano la sua Merzario A1 alla sola lotta per la qualificazione. Dopo l’esperienza finita con la F.1 riparte dalla F.2 e con i prototipi italiani, dove sarà protagonista per molti anni con la sua squadra.

Dall’anno 2000 si è concentrato sulle gare GT con Ferrari e Porsche, aggiudicandosi alcune vittorie di classe. Innumerevoli le sue corse e le avventure vissute, anche se verrà ricordato da molti per il suo gesto al Nurburgring 1976 quando, con Guy Edwards, Brett Lunger e Harald Ertl estrasse Niki Lauda dalla sua Ferrari in fiamme salvandogli la vita. Nel 2010 viene eletto presidente onorario della Scuderia del Portello e con le vetture del biscione partecipa a innumerevoli manifestazioni per auto d’epoca. Ma il vulcanico Merzario non si ferma e fonda la “Merzario Academy”, scuola di pilotaggio e partecipa a varie trasmissioni motoristiche come opinionista con la sua immancabile verve e gli aneddoti sulla storia delle competizioni.







sabato 25 febbraio 2023

Slim Borgudd, dalla batteria alla Formula 1


- di Massimo Campi - Immagini © Raul Zacchè/Actualfoto

La vita di Slim Borgudd è stata molto intensa, anzi possiamo parlare delle due vite di questo personaggio che è passato da essere una star internazionale nel mondo della musica a campione sulle quattro ruote.
Karl Edward Tommy “Slim” Borgudd, nato il 25 novembre a Borgholm in Svezia, è scomparso all’età di 76 anni il 23 febbraio 2023. La sua prima grande passione è stata la musica e dopo aver iniziato come batterista in alcuni gruppi rock locali fino è entrato negli ABBA. Il successo del gruppo svedese arriva da tutte le parti del globo e Borgudd inizia a dedicarsi all’altra sua grande passione correndo con le monoposto di Formula Ford. Nel 1972, a 26 anni conquista le prime vittorie nella Formula Sport. A 30 anni è in Formula 3 con un suo Team che partecipa al campionato svedese ed a quello Europeo. Un anno più tardi - stagione 1981 - l'esordio in Formula 1 con la ATS al Gran Premio di San Marino con un vistoso logo sulla pance del gruppo degli ABBA.

La squadra tedesca non è tra le più competitive ma Borgudd riesce a conquistare un punto iridato a Silverstone. La stagione successiva è compagno di Michele Alboreto in Tyrrell, ma dopo tre gare si rompe il rapporto con l’ex boscaiolo e si conclude l’avventura di Slim Borgudd in Formula 1 con quindici G.P. disputati ed un sesto posto quale risultato migliore.
Lasciata la Formula 1, sono iniziate nuove avventure, sempre a quattro ruote, in varie specialità e con mezzi ed organizzazioni di tutto rispetto. Slim ha gareggiato alla 24 Ore di Le Mans e con le vetture turismo conquistando il Campionato Svedese, ma i grandi successi sono arrivati con i Truck dove ha conquistato il titolo di campione europeo FIA nel 1986 (Classe B), nel 1987 (Classe C) e nel 1995 (Super-Race-Trucks). Anche dopo il suo definitivo ritiro dall’automobilismo professionistico, Slim Borgudd ha continuato a coltivare la sua passione per il Motorsport partecipando a gare europee di livello dilettantistico o amatoriale.

venerdì 24 febbraio 2023

Il professor Alain Prost


- di Massimo Campi – immagini © Raul Zacchè/Actualfoto

Alain Marie Pascal Prost è nato il 24 febbraio a Lorette, in Francia. Le cifre del suo palmares parlano chiaro: 51 vittorie, quattro titoli mondiali in 13 stagioni iridate nella massima formula a cui vanno aggiunte le stagioni come commentatore televisivo e quelle di Team Manager, i titoli nelle varie formule promozionali e quelli delle gare sul ghiaccio. Oltre i numeri, la sua è stata una carriera ed una storia straordinaria che solo il nome ed il valore dei suoi diretti avversari può darne la misura: Niki Lauda, Nelson Piquet, Ayrton Senna, Nigel Mansell, Michael Schumacher, tutti nomi di piloti dal piede pesante e ricchi di gloria.

Alain Prost inizia come molti altri giovani dal kart, a soli 14 anni, e nel 1975 vince il Campionato Francese Senior. L’anno dopo corre in monoposto, e nel 1977 è Campione Francese di F. Renault. Il ruolino di marcia è schiacciante: nel 1978 è in Formula 3 e nel 1979 vince due titoli, quello francese e quello Europeo, vincendo anche il Gran Premio di Monaco. La F.1 gli apre le porte, inizia con la McLaren nel 1980, vettura fragile e parecchi incidenti, anche con conseguenze fisiche. Lascerà per la prima volta la squadra di Ron Dennis per approdare alla Renault, dove conquista la sua prima vittoria e subito viene identificato come la giovane promessa francese, ma la casa transalpina non riuscirà mai a coronare un titolo mondiale con le sue vetture anche se Prost è quello che più si avvicinerà al traguardo, ma la Brabham di Nelson Piquet si rivelerà più performante nella seconda parte della stagione 1983 soffiando il titolo al francese che sarà messo sotto pressione dalle politiche interne e dai media francesi. Prost decide di abbandonare la Renault per tornare con Ron Dennis e John Barnard nel 1984, la monoposto va forte ma come compagno di squadra ha Niki Lauda. La Mp 4-2 è un missile, ma l’esperienza di Lauda prevale per mezzo punto sull’irruenza di Prost. Sarà proprio questa la stagione della svolta, il francese apprende molto dal tre volte campione del mondo, la sua visione tattica delle corse ed il modo di rapportarsi all’interno della squadra. Dal 1985 Alain Prost sarà il campione da battere, con la McLaren TAG-Porsche conquista il suo primo titolo mondiale e diventerà il pilota con cui confrontarsi, il “professore”, dentro e fuori dalla pista. Seguiranno le lotte con Ayrton Senna, giovane, velocissimo, ma che soffrirà sempre la personalità del francese, dentro e soprattutto fuori dalla pista. Poi arriveranno gli anni della Ferrari, un quasi titolo mondiale ed infine un divorzio tra mille polemiche. 

Un anno sabbatico, per riconquistare il predominio e soprattutto avere la macchina migliore, la Williams-Renault. Nel 1993 contro la FW15 a sospensioni attive di Alain Prost non ci sarà nulla da fare, il missile progettato da Adrian Newey e Patric Head straccia gli avversari, il francese conquista il suo quarto titolo mondiale e dice addio all’abitacolo delle monoposto, ma non alla F.1. Si chiude la carriera da pilota, si apre quella di opinionista che vivrà il suo momento più drammatico il 1° maggio 1994 ad Imola, nel dramma del suo nemico-amico Ayrton Senna. Prost lancia dai microfoni di TF1 un durissimo atto d’accusa nei confronti dei dirigenti della Formula 1, che a suo dire anteposero interessi commerciali a quelli sportivi. Il momento più toccante arriva a San Paolo pochi giorni dopo: Senna verrà portato a percorrere il suo ultimo Gran Premio da 8 piloti: in prima fila c’è proprio lui, Alain Prost, insieme al suo altro grande amico Gerhard Berger. Alain poserà con il casco di Ayrton per la fondazione che porta il nome dell’asso brasiliano e ne farà parte.

Prost non si ferma, ha ancora tante ambizioni che si concretizzeranno nel 1997, quando Briatore venderà al pilota francese la Ligier, che cambierà nome in Prost Grand Prix. Ma in questo ruolo non riuscirà mai a conquistare le vette più alte ed a fare onore al suo soprannome di professore ed alla fine la squadra chiuderà i battenti in un mare di debiti e polemiche. Nell’ultima fase riprende in mano il volante, per pura passione, nelle gare su ghiaccio. Piede ed esperienza non mancano conquista il Trofeo Andros, nel 2006, 2007, 2012 e 2013, tanto per aggiungere qualche numero al suo palmares.





venerdì 3 febbraio 2023

La scomparsa di Jean-Pierre Jabouille



di Massimo Campi – Immagini ©Raul Zacchè/Actualfoto

"Godspeed Jean-Pierre, Merci pour tout", è il breve messaggio, insieme a quattro foto in gara con i colori Renault, con cui è stato dato l’annuncio della scomparsa di Jean Pierre Jabouille dai media francesi. Anche se ha corso solo per un breve periodo in Formula 1, il pilota francese ha lasciato un segno indelebile nello sport automobilistico portando il team Renault al successo alla fine degli anni '70.

Jean-Pierre Jabouille, è stato il primo pilota a vincere una gara di Formula 1 con la Renault turbo, ed è scomparso all'età di 80 anni. La sua carriera parte dalla classica filiere creata dalla casa francese ed era stato arruolato per sviluppare il nuovo motore V6 Turbo per la stagione 1977, dopo aver vinto il titolo di Formula Due l'anno precedente. Jabuoille ha passato due stagioni con continui esperimenti e conseguenti ritiri, infine la Renault, grazie a lui, è riuscita a centrare l'obiettivo di una vittoria in Formula 1 nel 1979.

Il pilota francese ha partecipato a 49 gare in Formula 1 vincendone due tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '80. La prima vittoria è arrivata in casa, quando, nel GP di Francia Jabouille ha conquistato la prima pole position in Formula 1 per la Renault, con Arnoux che si è unito a lui in prima fila. Ha continuato vincendo la gara mentre il suo compagno di squadra e Gilles Villeneuve hanno duellato per il secondo posto. La sua seconda e ultima vittoria arrivò un anno dopo, al Gran Premio d'Austria del 1980. 

Quelle vittorie sono state due momenti molto luminosi della sua carriera, visto che è stato costretto al ritiro nella maggior parte delle gare a cui ha preso parte a causa dei problemi di affidabilità della Renault. Nel Gran Premio del Canada del 1980, Jabouille ha un grave incidente, che segna la sua carriera, dove si rompe una gamba. La stagione successiva è un pilota del nuovo team Ligier ma non riesce ad eguagliare le prestazioni precedenti ed a fine stagione si ritira dalla Formula 1.

Al di fuori delle corse in monoposto, Jabouille ha anche fatto molte apparizioni alla 24 Ore di Le Mans tra gli anni '60 e '90, arrivando terzo assoluto in quattro occasioni. 
Per un breve periodo ha ricoperto anche il ruolo di capo del braccio sportivo della Peugeot, durante la stagione di F1 del 1994 che ha visto il team McLaren utilizzare i motori forniti dalla Casa automobilistica francese.















lunedì 16 gennaio 2023

Lotus 79: la rivoluzione ad effetto suolo


di Massimo Campi – immagini Raul Zacchè/Actualfoto

La stagione 1978 costituisce un capitolo importante nell’era della F.1 moderna, la Lotus 79 vince, domina i gran premi e si impone con netta superiorità sulle altre monoposto consentendo a Mario Andretti di vincere facilmente il titolo mondiale. Era la prima wing car, ovvero una vettura con il profilo aerodinamico ad ala rovesciata, nella storia delle corse. Le sue principali caratteristiche erano la ridotta altezza da terra, le minigonne ed il passo molto più lungo rispetto alle altre vetture. Riusciva a sfruttare l’effetto suolo grazie ai due canali Venturi all’interno delle fiancate, una soluzione tecnica che condizionava fortemente le linee di questa vettura.

A partire dal 1978, proprio grazie a questa vettura, l’identificazione tra la monoposto e l’aeroplano divenne abituale grazie all’intuizione di quel genio che era Colin Chapman. “Per anni abbiamo sfruttato l’aria che scorreva sopra la monoposto, bloccando i flussi che scorrevano sotto. Con questa vettura invece sfruttiamo i flussi che scorrono sotto la vettura, canalizziamo i flussi sotto la vettura per generare una azione deportante che produce un campo di pressione aerodinamica sul veicolo. L’aria viaggia sotto la vettura e vicino al suolo, il fenomeno migliora l’aderenza dei pneumatici, migliora la stabilità e la sicurezza.” Con queste parole il patron della Lotus spiegava ai giornalisti i principi progettuali della Lotus 79.

Il punto di forza della monoposto era proprio l’aderenza in curva che consentiva ai piloti di viaggiare con traiettorie più redditizie e una maggiore velocità in curva rispetto alle altre monoposto tradizionali. L’effetto aerodinamico, con il conseguente miglioramento dell’aderenza in curva, aumentava esponenzialmente con l’aumentare della velocità, più le curve erano ad ampio raggio, quindi veloci, e più aumentava la depressione aerodinamica verso il suolo permettendo al pilota di viaggiare più rapidamente. Il segreto era gelosamente nascosto nei cassoni laterali, frutto di esperimenti iniziati tre anni prima e sviluppati in galleria del vento. La monoposto era progettata come se fosse un’ala di aereo rovesciata con le minigonne che sigillavano le fiancate laterali per impedire la fuoriuscita accidentale dell’aria sui fianchi che veniva espulsa dalla parte posteriore. Il profilo alare rovesciato si estendeva per tutta la lunghezza delle fiancate e le minigonne a contatto con l’asfalto intrappolavano l’aria generando la depressione di elevata intensità causata dall’aumento della velocità dei flussi all’interno.

La tecnica di guida venne modificata con l’avvento delle wing car. Le traiettorie dovevano essere il più costanti possibili, il rollio della vettura era praticamente nullo per poter sfruttare i valori di aderenza che erano superiori di almeno il 15% rispetto alle vetture tradizionali. La rivoluzione tecnica della Lotus 79 ha riguardato profondamente anche la meccanica. Con questa vettura è cambiata la disposizione dei pesi e delle masse, uno schema che viene sfruttato ancora oggi. L’abitacolo viene avanzato fino all’asse anteriore, le fiancate contengono solo i radiatori, mentre il serbatoio è spostato dietro il posto guida tra l’abitacolo ed il motore per poter avere le fiancate libere.

La carreggiata anteriore è molto larga, 1,73 metri, per consentire una larga sezione di entrata dell’aria, varia notevolmente anche il passo, 2,74 metri, quasi 20 cm in più rispetto alla Ferrari. Il retrotreno aveva ingombri molto contenuti, grazie agli scarichi del DFV Cosworth posti in alto, sempre per consentire il più regolare passaggio dei flussi d’aria in uscita dal fondo della monoposto.

L’idea di Chapman era una evoluzione dei principi già espressi anni prima dalla March 701, che aveva introdotto la fiancate ad ala rovesciata, contenenti i serbatoi laterali della benzina, ma senza capire l’importanza di chiudere completamente le fiancate e sigillarle con le minigonne come era stato poi fatto con la Lotus 79. La genealogia delle vetture ad effetto suolo nasce però ben tre stagioni prima, quando Chapman decide di mandare in pensione la vecchia Lotus 72, giunta ormai alla fine della sua gloriosa carriera. Già nel 1975 il patron della Lotus aveva intuito i vantaggi della deportanza e coinvolse nel progetto i tecnici Ralf Bellamy e Tony Rudd, mentre gli studi aerodinamici vennero affidati a Peter Wright, che aveva già collaborato con Rudd ai tempi della BRM. La prima Lotus ad effetto suolo è la tipo 78, la vettura realizzata da Ralf Bellamy e dalla matita di Martin Oglive, che prese il via nella stagione 1977. i concetti delle wing car erano già espliciti in questa vettura, che aveva un telaio stretto, con i condotti laterali venturi, ma non aveva ancora le fiancate sigillate dalle minigonne ed aveva bisogno di una messa a punto. La superiorità della Lotus 78 si fece manifesta nella parte centrale della stagione, in cui vinse ben 4 gran premi, ma la mancanza di costanza nei risultati pregiudicò la stagione della Lotus, che arrivò comunque seconda nel campionato costruttori alle spalle della Ferrari, vincente con Lauda. La Lotus 78 inizia la stagione da protagonista nel 1978, vincendo in Argentina ed in Sud Africa, ma quando debutta, a Zolder il 21 maggio, la nuova Lotus 79, si capisce subito che la fabbrica inglese ha fatto il salto di qualità e per la rimanente parte della stagione ci sarà poco da fare per gli avversari, ridotti a comparse contro lo strapotere di Mario Andretti.

La Lotus 78 aveva una deportanza maggiore del 15% rispetto ad una vettura tradizionale, pur con le minigonne realizzate da semplici spazzole che strisciavano sul terreno. Con la 79, concepita integralmente attorno all’efficienza aerodinamica, con le minigonne costituite da bandelle in plastica che sigillavano le fiancate lateralmente, senza causare la fuoriuscita accidentale dell’aria , i valori di deportanza salirono ad oltre il 30% rispetto ad una vettura tradizionale. Per ottenere la tenuta di strada, la 79 poteva usare alettoni ridotti rispetto alla concorrenza, riuscendo ad ottenere anche alte velocità in rettilineo, per disponendo del V8 DFV Cosworth che vantava potenze inferiori di 30-40 cv rispetto ai dodici cilindri Ferrari, Alfa Romeo e Matra, ed al nuovo V6 Turbo Renault che faceva il suo esordio in F.1. Il vantaggio tecnico della Lotus durò una intera stagione, Mario Andretti vinse il suo titolo mondiale, anche se per la fabbrica inglese non è stata una stagione completamente felice a causa dell’incidente mortale di Ronnie Peterson a Monza.

L’azzardo delle wing car venne rappresentato dalla Brabham BT46B di Gordon Murray e Carlo Chiti, con l’applicazione della ventola che risucchiava l’aria dal fondo scocca spacciata come ventola di raffreddamento. Accortosi della rivoluzione introdotta da Chapman, Gordon Murray si ricordò dell’esperimento condotto da Jim Hall con la Chaparral Can Am, che aveva due ventole nel cofano posteriore per aspirare l’aria sotto la vettura e tenerla inchiodata al suolo. Lauda vinse il gran premio di Svezia, ma la Brabham venne subito vietata, perché disponeva di un sistema aerodinamico mobile, e quindi vietato per regolamento, ma soprattutto per la grande massa di polvere, sassi e quant’altro che sparava dal posteriore sugli avversari.

Tutti gli altri costruttori in breve tempo hanno dovuto adeguarsi agli standard tecnici della Lotus 79. Per la prima volta nella storia delle corse è la conformazione aerodinamica e non la meccanica a condizionare la progettazione di una monoposto. L’evoluzione delle wing car è stata così rapida che in pochi anni si sono raddoppiati i valori di aderenza in curva. Pur con tutte le limitazioni regolamentari introdotte negli anni successivi, ancora oggi, sulle moderne monoposto, vengono sfruttati i principi aerodinamici di deportanza introdotti dalla Lotus 79.

immagini Raul Zacchè/Actualfoto