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giovedì 4 novembre 2021

Casale, l’autodromo abbandonato in riva al Po


– di Massimo Campi
– foto Archivio Mario Martinotti

Nel mondo della pura passione degli anni ‘70, inizia e finisce l’avventura dell’Autodromo di Casale Monferrato, una pista realizzata da alcuni appassionati sui terreni di una ex cava di ghiaia nei Comuni di Morano Po e Pontestura. È il primo autodromo minore in Italia, una iniziativa nata nel 1972 con tanto entusiasmo e presto finita tra liti e risvolti burocratici. 
Negli anni ’70 c’è grande fermento nel mondo sportivo dei motori. La Ferrari è l’indiscussa icona con le sue fantastiche rosse che corrono in Formula 1 e nei prototipi, ma ci sono anche altre realtà come l’Abarth e l’Alfa Romeo. Giacomo Agostini vince titoli mondiali con la sua MV Agusta, ma c’è anche Renzo Pasolini che corre nella serie mondiale. Poi ci sono tanti appassionati, piloti non professionisti, piccoli costruttori, meccanici, tutto un mondo che gira attorno ai motori, ma mancano le piste dove potere sfogare questa passione. Monza rimane sempre la pista nazionale, dove si disputa il Gran Premio d’Italia e tante altre gare meno importanti ma piene di pubblico, come la piccola F. Monza che conta oltre 100 iscritti ad ogni prova. Poi c’è Imola, con tutta la passione della Romagna dei motori; Vallelunga, la pista della capitale, ed il tracciato di Casale Monferrato.

La pista vicina al fiume Po veniva percorsa in senso orario, lunghezza di 2.460 metri e 11 di larghezza, con 6 curve a destra e 2 a sinistra per un totale di 8 curve. L’attività ferve nelle prime stagioni di vita dell’autodromo, vengono disputate gare di F.3 e Turismo, fino all’Interserie. Si corrono anche competizioni del Campionato Svizzero e nel 1974, un anno dopo l’inaugurazione, vi si svolse la miglior stagione della storia del circuito Monferrino con quasi 100.000 spettatori in 17 gare di varie categorie. Si parla di un possibile ampliamento del tracciato con una lunghezza di 4 km per potere ospitare competizioni internazionali, ma a causa di varie vicende burocratiche, questo progetto non vide mai la luce. 

I primi problemi iniziano nel 1975 a causa di forti lamentele della popolazione locale infastidita dai rumori "molesti" provenienti dal circuito. Arrivano varie denunce, annullamento di alcune gare ed infine la dirigenza della pista è costretta a chiudere i battenti nel 1977. L’atto finale arriva il 18 agosto dello stesso anno, quando una ruspa fa irruzione nel tracciato demolendo circa 400 metri di asfalto per impedire una possibile riapertura dell’autodromo e scoraggiare l’utilizzo del tracciato per corse clandestine. Da allora il circuito versa in condizioni di completo abbandono, con gran parte del manto stradale invasa dalla vegetazione; l’unico modo per accedervi è tramite una strada asfaltata, anch’essa in pessime condizioni.

Mario Martinotti, grande appassionato di motori nato a Morano Po, ci racconta la storia di questa pista.

"Prima dell’autodromo di Morano sono nate due piste in terra battuta, nelle zone attualmente industriali e commerciali. La prima aveva un tracciato di circa 500 metri, la seconda raggiungeva i 1.200 metri dove si svolgevano gare locali con un regolamento turismo e vetture tra 500 e 1.000 cc. Tra i primi preparatori di quelle vetture c’è Leo Garavello, ed i soci si erano tassati per coprire le spese di costruzione e manutenzione della pista. In seguito nasce la pista di Morano Po realizzata sul terreno della ditta di cava di ghiaia del posto. La ditta realizzava anche lavori stradali ed asfaltature e con un gruppo di soci partono i lavori nel 1972 ed il 19 marzo 1973 viene inaugurato il tracciato. È stata una grande manifestazione per il pubblico presente ai bordi della pista: Enzo Ferrari aveva inviato una Ferrari 312B2 con Arturo Merzario, la MV era presente con Giacomo Agostini, Renzo Pasolini scese in pista con una Aermacchi. Merzario fece segnare il tempo record di 1’01″100 a una velocità media di 144,950 Km/h.

L’inaugurazione, oltre a  ospiti famosi, prevedeva una serie di gare del Campionato Italiano di F.3, F. Italia ed Escort Mexico. Da quel fine settimana parte la breve storia dell’Autodromo che era stato omologato per ospitare fino a gare di monoposto Formula 2. Unica eccezione per il campionato svizzero che prevedeva in pista anche delle vecchie Formula 1 che correvano, in deroga, con le loro F. 2. Ricordo una McLaren M7 ed una March tra le prime costruite. Anche Enzo Osella veniva spesso a collaudare le sue vetture sulla pista casalese con i prototipi di due litri, guidati da Osella stesso, Merzario e Brambilla, e riuscivano a girare con tempi anche inferiori al minuto. Ai tempi c’era anche Henry Morrogh che veniva a Morano Po con la sua scuola di guida sicura con i corsi per i giovani piloti.

La gara più famosa è stata, il 22 settembre 1974, una prova dell’Interserie. In pista c’erano le potenti Porsche 917 turbo di Herberth Muller e Willy Kauhsen, la McLaren M20 di Helmut Kelleners e la Lola T282 di Lella Lombardi. Vinse la 917/30 del pilota svizzero seguita dalla McLaren con Lella sul terzo gradino del podio. Nello stesso weekend correvano le F. Monza, due estremi della passione per i motori: dalle vetture più potenti a quelle più piccole. 
Tra i piloti che hanno corso sul tracciato casalese ci sono nomi di fama mondiale come Nelson Piquet, Riccardo Patrese, Lella Lombardi, Alberto Colombo, Giampiero Moretti, Corrado Manfredini, Mauro Nesti, Vittorio Brambilla, ed a Morano Po sono passati anche personaggi come Manuel Fangio, Clay Regazzoni e Cesare Fiorio e Guido Forti come speaker di alcune corse.

L’avventura dell’Autodromo di Casale dura fino all’estate 1977, con una prova in pista del Giro d’Italia Automobilistico. Erano sorti parecchi problemi già nel 1976, dati soprattutto dal rumore e da litigi tra varie amministrazioni. L’area della pista si stende su due comuni: Morano Po e Pontestura. In seguito a questi problemi l’amministrazione del Comune di Pontestura invia delle ruspe e distrugge 400 metri di tracciato impedendo di fatto lo svolgimento delle attività. Il problema era rappresentato soprattutto dal rumore, musica per gli appassionati, ma fastidioso per chi vive tutto il giorno in campagna ed è abituato al silenzio della natura. Le tensioni tra le due amministrazioni di allora hanno solo amplificato il problema invece di cercare delle soluzioni.
L’autodromo era anche fonte di guadagno, molte attività commerciali, vedi ristoranti ed alberghi, beneficiavano di piloti, meccanici e pubblico presente alle gare. Vista con la mentalità odierna possiamo affermare che è stata una occasione persa: la grande industria ha abbandonato questi territori dove è rimasta solo l’agricoltura con le risaie e molte piccole attività commerciali hanno dovuto chiudere i battenti, mentre la pista avrebbe potuto rappresentare un beneficio per l’indotto locale".

> Foto Archivio Mario Martinotti