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sabato 28 maggio 2022

McLaren F1 GTR, la granturismo progettata da Gordon Murray che vince le corse



> di Massimo Campi – immagini di Raul Zacchè/Actualfoto

Il 28 maggio 1992 viene presentata a Montecarlo la McLaren F1, la Gt che rivoluziona il mondo delle supercar, ed anche la prima vettura stradale della fabbrica inglese. Tutto inizia a fine anni ’80, quando la McLaren di Ron Dennis decide di entrare nel mondo delle granturismo ad alte prestazioni, come Ferrari e Porsche, ma a Woking fanno le cose in grande, senza nessun risparmio. Gordon Murray, geniale ed eclettico progettista di monoposto da competizione, è il direttore tecnico della factory inglese e crea, nel 1990, un team di sette progettisti per realizzare una granturismo dalle prestazioni estreme. Nasce la McLaren F1, lo sviluppo del progetto, e dei primi esemplari, dura tre anni, Murray riesce a realizzare una vettura che diventerà una delle pietre miliari nella storia della tecnologia automobilistica e la più veloce auto stradale in commercio con motore aspirato.

Nonostante le soluzioni estreme, la factory inglese riesce a creare una granturismo abbastanza confortevole per tre persone, con il posto guida posto al centro dell’abitacolo ed i due posti per i passeggeri ai fianchi. Grazie all'utilizzo di tecnologie innovative, la vettura ha una massa di poco superiore ai 1.100 kg in ordine di marcia con un rapporto peso/potenza di appena 1,75 kg/cv, il propulsore è realizzato appositamente dalla BMW ed inizialmente, nella configurazione stradale, ha una potenza massima di 627 cv. La casa tedesca realizza il V12 di 60°, che ha una cilindrata iniziale di 6.064 cc realizzato con leghe metalliche ad alta tecnologia per ridurre i pesi e posizionato alle spalle dell’abitacolo. Nelle varie versioni la potenza del V12 S70/2 viene aumentata dagli iniziali 627 cv, a 7.500 giri fino a 680 CV, a 7.800 giri.

La trasmissione della McLaren F1 si avvale di un cambio manuale a sei marce montato longitudinalmente ed una frizione a tre dischi in carbonio che deve essere sostituita ogni 5.000 km. Tra i record della F1 c’è anche quello della prima vettura stradale costruita con una scocca autoportante in fibra di carbonio con il guidatore, posizionato al centro, nel posto guida in posizione avanzata rispetto ai due passeggeri laterali. Molto curata l’aerodinamica, Murray ha studiato un sistema di ventole che controlla lo spessore dello strato limite nel sottoscocca per ottimizzare l'effetto suolo, mentre un freno aerodinamico viene azionato automaticamente per rendere il retrotreno della vettura stabile durante le frenate ad alta velocità.

Dal 1993 al 1998 la McLaren F1 viene prodotta in 106 esemplari, in varie versioni, stradali e da competizione. Inizialmente non è prevista una versione per le competizioni, ma alla McLaren arrivano alcune richieste dai clienti sportivi. Le caratteristiche della F1 sono ottimali per il nuovo campionato a ruote coperte nato dalle ceneri del Mondiale Sport, il BPR GT Series, organizzato da Jurgen Barth, Patrick Peter e Stéphane Ratel che prevede gare di quattro ore di durata con vetture granturismo derivate dalla serie. Tra le vetture inizialmente al via nel 1994 ci sono Porsche 911 Turbo, Venturi LM600, Lotus Esprit, Callaway e Ferrari F40. Il campionato ha subito successo, alcune Case iniziano a nutrire molto interesse nella serie ed i team sono alla ricerca di vetture più performanti da schierare nelle gare.

Il Team di Ray Bellm e Thomas Bscher intuisce le potenzialità della McLaren motorizzata BMW e si rivolgono a Gordon Murray per realizzare una F1 da competizione e la McLaren da il via allo sviluppo ed al supporto tecnico alle squadre.
La McLaren F1 GTR da competizione viene realizzata in soli quattro mesi, la GT inglese debutta ad inizio stagione 1995 nella serie BPR e subito diventa la vettura di riferimento. Nel primo anno sono nove gli esemplari realizzati che vanno al team britannico West Competiton GTC Racing, alla David Price Racing, BBA Competition, Mach One Racing e Giroix Racing Team, mentre il Sultano del Brunei ne acquista uno per la sua collezione privata.

Le vetture GT1 vengono ammesse anche alla 24 Ore di Le Mans del 1995, ed è proprio il Team Kokusai Kaihatsu McLaren che sale sul gradino più alto del podio al debutto con la vettura pilotata da Yannick Dalmas/Masanori Sekiya/J.J. Lehto. Il successo porta molta pubblicità alla McLaren ed alla BMW che decide di creare un proprio Team, sotto la direzione di BMW Motorsport per correre con la F1 GTR che viene ulteriormente sviluppata con una estensione della carrozzeria sul muso e nel retrotreno ed un nuovo splitter maggiorato all’anteriore. Nel 1997 la BPR Global Series diventa il Campionato FIA GT, dove vengono ammesse le vetture GT1 con ulteriori evoluzioni da competizione. Nascono vetture speciali e la McLaren, con l’appoggio della BMW Motorsport, è costretta ad un ulteriore step di sviluppo per contrastare le prestazioni di vetture concorrenti, progettate come vetture da competizione e non come GT stradali come la F1.

Lo staff di Woking si rimette al lavoro, la F1 GTR versione FIA GT 1997 ha ampie modifiche alla carrozzeria per ottenere il maggior carico aerodinamico possibile, come al propulsore che nella nuova versione S70/3 passa a 5.990 cc con 600 cv di potenza come imposto dai regolamenti. Rimane sempre una delle vetture di riferimento della serie GT fino alla fine degli anni ’90, nonostante la concorrenza di Mercedes e Porsche con i loro prototipi GT1 mascherati da Granturismo.

La nuova versione long tail regge il confronto con la concorrenza, Mercedes e Porsche sono molto veloci ma la McLaren si distingue per l’affidabilità e per un buon bilanciamento generale. Nel 1998 una McLaren del Team Davidoff è portata in gara da Thomas Bscher con Emanuele Pirro e Dindo Capello per saggiare una futura partecipazione del team Audi a Le Mans.

Tra le vittorie delle F1 GTR ci sono quelle della serie GT Giapponese nel 1996 con il Team Goh. Nel 1997 il team Davidoff ha conquistato anche la 6 Ore di Vallelunga e nel 1998 vince anche la 1000 Km di Monza con Thomas Bsher e Geoff Lees.

La McLaren F1 non è stata comunque un successo commerciale, il prezzo molto elevato ha ristretto l’acquisto a pochi ricchi. Delle 106 vetture prodotte sono stati costruiti 28 telai GTR F1 che sono diventati pezzi rari da collezione con alte quotazioni nelle aste.










giovedì 19 maggio 2022

Eifelland E21, la Formula 1 di Lutz Colani


di Massimo Campi – foto Raul Zacchè/Actualfoto

Tra le monoposto più curiose degli anni ’70, un posto di diritto spetta alla Eifelland E21, la formula uno disegnata da Luigi Colani, un desiner tedesco che ha modificato un telaio March 721 ridisegnandone le forme. L’avventura della Eifelland nasce per merito del suo fondatore, Gunther Hennerici, noto produttore tedesco di caravan proprio con quel nome. Hennerici è un grande appassionato di corse e con il suo marchio sponsorizza la carriera di Rolf Stommelen, giovane promessa tedesca. Stommelen è sostenuto dalla Eifelland partendo dalle categorie propedeutiche, F.3 e F.2, fino ad arrivare in F.1 con la Brabham dove conquista un podio in Austria. Hennerici, visti i risultati promettenti, decide di mettere mano direttamente al portafoglio e di realizzare un proprio Team ed una vettura che portano il nome della sua ditta per il forte pilota tedesco. Acquista una March 721 con motore Ford Cosworth DFV, cambio Hewland, gomme Goodyear, e decide di farla modificare da Luigi Colani.

Colani, classe 1928, al secolo Lutz, è un designer nato in Germania e naturalizzato svizzero, che diventerà famoso per il suo estro e la sua versatilità, ma anche per la sua eccentricità. Appena diciottenne si iscrive all’Accademia delle Belle Arti di Berlino, frequentando i corsi di scultura e pittura, e due anni dopo Colani è alla Sorbona di Parigi, dove studia aerodinamica. Nel 1953 Colani è in California, a lavorare alla Douglas Aircraft Company, come responsabile di una ricerca su nuovi materiali aeronautici. Finita quell’esperienza Colani torna in Francia, si dedica al design automobilistico e nel 1954, a Ginevra, riceve il premio Golden Rose per il suo lavoro nel campo dell’aerodinamica automobilistica. Il design di Colani è decisamente estroso e creativo, composto da rotondità spesso esasperate, che vogliono evocare il dinamismo e la vitalità dell’oggetto. Le linee tondeggianti sono il suo stile principale che lui definisce “bio-design”.

La sua verve estrosa lo fa anche cambiare nome e nel 1957 decide che, da quel momento in poi, si sarebbe chiamato Luigi Colani e non più Lutz. Realizza una vettura sulla base dell’Alfa Romeo Giulietta, denominata poi Colani Alfa Romeo; sarà la prima vettura turismo a terminare un giro al circuito del Nürburgring in un tempo inferiore ai 10 minuti. Oltre al design automobilistico, Colani si dedica anche all’oggettistica, ai mobili per l’arredamento, e nel 1968 fonda un suo studio di design in Westfalia lavorando sulle potenzialità dei materiali plastici per la costruzione di automobili, arredamento ed altre apparecchiature, come ad esempio le macchine fotografiche. Tre anni dopo, per merito di Hennerici, per Colani si aprono le porte della Formula uno. La Eiffeland E21, che è in pratica la March 721 modificata, ha una forma molto avveniristica, con una grande presa d’aria posta davanti all’abitacolo, in cui sopra era posizionato centralmente un unico specchietto retrovisore, fissato ad un vistoso supporto centrale che si alzava oltre la linea del cockpit. Il design di Colani si basa su una sua teoria: “La terra è rotonda, la sua orbita ellittica, quindi perché questa ossessione creativa e conservatrice con linee rette?”

Quando la Eifelland venne presentata alla stampa tedesca Colani affermò che gli altri design non avevano nulla a che a fare con l’aerodinamica rispetto a quello pensato per la sua nuova creatura e per via delle sue forme ovoidali e inconsuete la E21 venne subito ribattezzata “The Whale”: la balena. Nei primi test la vettura dimostrò subito i suoi problemi dati dal carico dell’enorme alettone che ricopriva tutta la parte posteriore, con una superficie di 2,5 metri quadri ed alla difficoltà del raffreddamento data dalle particolari forme aerodinamiche della carrozzeria. Inoltre la March 721 aveva un telaio no proprio all’altezza della concorrenza, tanto che anche i piloti ufficiali della squadra di Bichester, Lauda e Peterson, lamentavano problemi. Il debutto avviene all’inizio del 1972 alla Race of Champions di Brands Hatch, gara fuori campionato dedicata alle monoposto di Formula Uno e F.5000. La E21 si presenta al via con diverse modifiche aerodinamiche e superfici alari rimpicciolite per migliorare il raffreddamento. Stommelen è dodicesimo in prova su 19 vetture al via, finì undicesimo a un giro dal vincitore Alan Rollinson su Lola

A Kyalami avviene il debutto in un Gran Premio iridato, la Eifelland ha una livrea completamente bianca ed il classico muso a pesce martello della March 711 abbandonando l’avveniristico muso progettato da Colani. Stommelen ottiene il 25° tempo in griglia ad oltre tre secondi di distacco dalla Tyrrell di Jackie Stewart in pole position, ma è anche distaccato di oltre un secondo e mezzo dalla March ufficiale di Lauda. Il tedesco in gara riesce a giungere al traguardo, in tredicesima posizione a due giri di distacco dal vincitore. In Spagna a Jarama la E21 si presenta con l’ala posteriore a profilo singolo, ed un nuovo muso con due baffi laterali. La livrea è bianca e blu e con questa configurazione continua per il resto della stagione. Grazie agli aggiornamenti migliorano anche le prestazioni, ma in gara Stommelen si deve ritirare per un incidente quando è sedicesimo. 

A Monaco la Eifelland mostra tutti i suoi limiti, Stommelen è 25° in griglia rimediando ben otto secondi di distacco dalla Lotus 72 di Fittipaldi. Al via diluvia, sarà una edizione particolare vinta da Beltoise con la BRM e l’asso tedesco riesce ad approfittare della situazione riuscendo a portare la Eiffeland al 10° posto, ma staccato di ben tre giri dal vincitore. Il resto delle gare non vedono particolari progressi, Stommelen è 11° in Belgio a Nivelles, a Clermont Ferrand una foratura fa perdere parecchio tempo, a Brands Hatch è penultimo in prova, ma il tedesco riesce a risalire fino al decimo posto in gara, ma con un ritardo di ben cinque giri dalla Lotus di Fittipaldi che arriva prima. Stommelen sfrutta tutta la sua esperienza ed il coraggio nel toboga del Nurburgring, è 15° in prova, ma in gara si deve fermare per problemi elettrici.

I risultati non arrivano, Hennerici inizia ad avere anche problemi finanziari: debuttare con un suo Team in Formula Uno è stato un vero azzardo e ben presto deve cedere la sua azienda di caravan e di conseguenza il Team, per ripianare i debiti. La Eifelland E21 si ripresenta in agosto a Zeltweg in Austria, sotto le nuove insegne del “Team Stommelen”. Il tedesco è 17° in prova, in gara si deve fermare per problemi al motore. Il nuovo proprietario, succeduto ad Hennerici, non ha nessuna intenzione di rimetterci altri soldi e decide di porre fine all’avventura. Dopo solo otto gare la Eifelland E21, la fantasiosa creatura uscita dalla penna di Luigi Colani finisce nell’oblio. Tutto il materiale viene svenduto, sia le March 723 di F.3 che la E21. Alcune monoposto riapparvero in pista nel biennio 1974/75 sotto le insegne della Reinhalds, mentre la sede operativa del team fu ceduta alla Hexagon Racing, che successivamente prese parte a ad alcuni eventi non titolati. Luigi Colani ha continuato ad essere un vulcanico desiner ed una persona estremamente estrosa. Fino alla sua scomparsa, avvenuta il 16 settembre 2019, ha abitato in un castello con il fossato in Westfalia, portando sempre maglioni da cricket e cravatte variopinte, usando gli zoccoli al posto delle scarpe ed amando oltre misura i sigari.

Foto Raul Zacchè/Actualfoto - riproduzione riservata






 



 

domenica 15 maggio 2022

Elio De Angelis, un fuoriclasse con poca fortuna



- di Massimo Campi
- Immagini © Raul Zacchè/Actualfoto

Per Elio De Angelis la stagione 1986 doveva essere l’occasione della riscossa. Aveva debuttato nel 1979 a soli 21 anni in F. 1 con un titolo europeo di Kart nel 1976 ed il titolo italiano di F. 3 nella stagione successiva. Un anno alla Shadow, da pilota pagante, poi era stato Colin Chapman a volerlo alla Lotus, il marchio che aveva rivoluzionato la F. 1 con le wing car. I due si erano capiti, anche se Colin aveva giocato d’azzardo con quella Lotus 88, squalificata prima di prendere parte ad una gara. 

Nel 1982 arriva la nuova Lotus 91, e la prima vittoria per Elio, in Austria, in volata per soli cinque centesimi su Keke Rosberg. Chapman aveva visto giusto ancora una volta, il romano aveva le doti del campione, oltre che avere classe fuori dalla monoposto. Ma Colin scompare alla fine del 1982 e la Lotus precipita nel caos, fino a quando arriva Gerard Ducarouge e le quotazioni di Elio risalgono anche se, con Peter Warr che ha ereditato la guida del team, non c’è lo stesso feeling di Colin. Per Elio, Colin era come un secondo padre, invece Warr si rivela un personaggio completamente diverso dall’ex patron della Lotus, un classico inglese freddo, estremamente calcolatore, a cui gli italiani non stavano per nulla simpatici.
Arriva la Renault con i suoi motori turbo e si porta dietro anche la nuova stella Ayrton Senna con i suoi sponsor brasiliani, un argomento, quello economico, molto sentito da Warr. La stagione 1985 inizia bene, ad Imola sale sul gradino più alto del podio ma tra Elio ed Ayrton le cose non funzionano, Peter Warr spinge sempre di più il brasiliano che da seconda guida diventa la prima, e per il romano a fine stagione è ora di cambiare aria.

Bassa, larga e lunga, così si presenta la nuova creazione di Gordon Murray per la stagione 1986. La Brabham BT55 è una monoposto estrema ed innovativa, ma si rivela un progetto difficile da mettere a punto ed una vettura che creerà molti problemi alla squadra di Bernie Ecclestone. I primi problemi appaiono subito durante i test pre-campionato. il telaio in fibra di carbonio, incontra il problema della struttura motoristica, con il quattro cilindri tedesco non abbastanza rigido per sostenere da solo il retrotreno. La lunghezza della vettura, senza una adeguata rigidità torsionale, tende a flettere vanificando vantaggi e la tenuta di strada. Murray deve realizzare un pesante telaio supplementare posteriore che sbilancia la distribuzione dei pesi della BT55. Il lungo passo e la posizione dei radiatori molto avanzata crea problemi di trazione al potente propulsore tedesco che ha difficoltà a scaricare a terra tutti i cavalli. Il quattro cilindri bavarese, che aveva vinto il titolo mondiale solo tre anni prima, è una unità molto potente. In versione qualifica si parla di potenze che superano i 1.350 cv, ma le difficoltà di scaricare a terra la potenza e di messa a punto della BT55 vanificano le aspettative della BMW. Inoltre si verificano diversi problemi di lubrificazione data dall’inclinazione del motore: quando la monoposto viaggia nei curvoni a destra l'olio tende a non tornare nel basamento a causa della forza centrifuga. Problemi anche alla trasmissione, con il nuovo cambio trasversale a 7 marce prodotto dalla casa americana Weissmann, fragile e difficile da mettere a punto.

Elio De Angelis e Riccardo Patrese sono i piloti della Brabham nel 1986. La sogliola di Murray debutta alla prima gara stagionale, il 23 marzo nel Gran Premio del Brasile sulla pista del Jacarepaguà. La BT55 mostra subito delle difficoltà nello stare tra i primi, De Angelis è ottavo, ma staccato di tre giri dal vincitore Piquet con la Williams Honda, Patrese è fermo dopo 21 giri per un problema al circuito di lubrificazione.
I problemi sono tanti, dopo Imola la squadra si trasferisce in Francia per una sessione di test. Quindici maggio 1986, Le Castellet, una pista nel sud della Francia, dove le temperature sono miti anche nella stagione invernale.

Iniziano i test, il lavoro sulla sogliola Brabham continua, è il momento di Elio per scendere in pista e provare nuove soluzioni. La pista del Castellet è uno dei circuiti più noti al mondo per il suo lungo rettilineo del Mistral, si parla di circa 1.800 metri a cui fa seguito la spaventosa Courbe de Signes da percorrere in piena accelerazione a oltre 340 km/h, una piega per piloti veri ed Elio non si tira certo indietro.

De Angelis Indossa la tuta ignifuga, il suo casco con il logo blu e rosso, è pronto ancora una volta a dominare quella sogliola bassa e larga, con il telaio che si torce in piena velocità. Fa caldo sulla pista, il sole batte a picco, ci sono pochi commissari distratti, in pantaloncini corti con piccoli estintori appoggiati al rail. Il quattro cilindri biturbo di Paul Roche scarica tutti i cavalli sul Mistral, ma improvvisamente succede l’imprevisto, si stacca l’alettone posteriore e la macchina senza più carico aerodinamico diventa un oggetto impazzito nella piega di Signes. La BT55 finisce contro le barriere, si ribalta più volte ed infine il fuoco. Alan Jones e Nigel Mansell si fermano, Alain Prost cerca un varco tra le fiamme, ma i commissari sono in pantaloncini corti, gli estintori sono presto vuoti, è la fine.

Di Elio De Angelis resta il ricordo di un pilota molto talentuoso, quanto sfortunato in pista. Ricco e istruito, grande talento con il volante in mano, un gentiluomo fuori dall’abitacolo. Sapeva incantare anche quando suonava il pianoforte, avrebbe potuto diventare un compositore, ma alle melodie delle sette note aveva preferito il suono dei motori da corsa. Un ragazzo gentile e raffinato, legato ad un tragico destino.

Immagini © Raul Zacchè/Actualfoto - Riproduzione riservata

domenica 1 maggio 2022

Ayrton Senna, il sogno spezzato a Imola


> di Massimo Campi - foto Raul Zacchè/Actualfoto

Domenica 1 maggio 1994, una giornata da apocalypse now, il giorno in cui cambia tutta la Formula Uno moderna, il giorno in cui scompare Ayrton Senna. Alle 14 scatta il via, volano le gomme ed una decina di tifosi rimangono feriti, sono quelle della Lotus di Pedro Lamy e della Benetton di JJ Lehto. La safety car guidata da Angelelli rallenta per cinque giri tutto il gruppo guidato dalla Williams di Senna, con la Benetton di Schumacher che segue a ruota. Deve essere la gara di riscatto del brasiliano della Williams, ancora a corto di punti nel mondiale mentre il tedesco della Benetton è già volato via in classifica. Sgombrata la pista, Angelelli spegne le luci della safety car e rientra ai box, Senna forza subito la mano, vuole distaccare quel giovane tedesco arrembante, deve dimostrare che il re è ancora lui! 
Al 7º giro, alle 14.17 la Williams di Senna entra alla curva del Tamburello. La monoposto ha un breve scarto, poi esce per la tangente verso il muro esterno alla pista. Senna fa un ultimo tentativo, si attacca ai freni, ma c’è ben poco da fare. La telemetria mostrerà che la Williams viaggiava a 310 all’ora e l’impatto è avvenuto a 218 all’ora contro il muro in cemento senza nessuna protezione. Mentre Schumacher incredulo passa, la monoposto rimbalza al centro della pista. Senna è immobile nell’abitacolo, la testa si piega sul lato sinistro. Il gelo invade gli spettatori, i soccorsi, e tutto il popolo della televisione. Nell’urto è la ruota anteriore sinistra è finita contro il casco, ma soprattutto un pezzo della sospensione ha perforato il casco del brasiliano con il braccetto della sospensione rotta che perfora la scatola cranica. Il dramma invade il Santerno, per il brasiliano non c’è più nulla da fare, anche se arriva l’elicottero che lo trasporta prima al centro medico poi al reparto di terapia intensiva dell’Ospedale Maggiore di Bologna, ed alle 18,20 di sera Senna viene dichiarato ufficialmente morto.

Sono passati molti anni da quel terribile fine settimana, dall’addio di quel campione che ha scritto pagine indimenticabili nella storia del motorsport. Improvvisamente la Formula 1 capisce che bisogna cambiare le regole, bisogna rendere più sicuri piste e monoposto. Ayrton era indubbiamente il numero uno, un campione destinato a nuove vittorie, un uomo che aveva ancora tanti stimoli ed il sogno di conquistare un titolo mondiale con la Williams e magari continuare la sua carriera con una vettura del cavallino rampante.

Con lui finisce un’epoca, durata 10 anni con tre titoli mondiali, 80 podi conquistati su 162 gran premi disputati tra cui 41 vittorie con la Lotus e la McLaren e 65 pole position. Numeri destinati ad essere riscritti da Michael Schumacher, il cannibale tedesco, ma per molti “O’Rey” rimane sempre lui, “magic” con quel suo casco giallo, quell’aria un po’ malinconica e quel piede pesante come un macigno!

lunedì 25 aprile 2022

Michele Alboreto, campione indimenticabile


- di MASSIMO CAMPI
- foto di RAUL ZACCHÈ - ACTUALFOTO e MASSIMO CAMPI

Non ha vinto il mondiale, ma il ricordo di Michele Alboreto è ancora forte tra gli appassionati, chi lo ha conosciuto lo ricorda ancora per le sue doti, come pilota, ma soprattutto come uomo. Per iniziare a correre, a dare sfogo alla sua passione, aveva dovuto fare molti sacrifici, poi ripagati da una straordinaria carriera, ma come persona era sempre disponibile, facendo della gentilezza una delle sue migliori doti anche fuori dall’abitacolo.
Michele Alboreto è nato il 23 dicembre 1956, a Milano, pochi anni dopo la famiglia si trasferisce a Rozzano, alle porte della metropoli milanese; il 25 aprile 2001 scompare in un incidente durante un test in Germania.

Michele ha rappresentato un grande esempio di determinazione, passione e tanta voglia di fare e di dimostrare. Alboreto, pur non essendo mai diventato campione del mondo, ed in quel lontano e sfortunato 1985 con la Ferrari lo avrebbe sicuramente meritato, ha rappresentato una figura emblematica per tanti giovani, e per tanti tifosi. La grande forza di Alboreto è stata quella di essere un uomo, ancor prima che essere un pilota. Era considerato un pilota dal piede pesante, ma soprattutto con una testa pensante, che sapeva sempre fare funzionare cercando di cogliere il migliore risultato possibile in ogni occasione. La sua è stata una carriera molto importante, ed è stato l’ultimo che è riuscito a realizzare il sogno del pilota italiano al volante di una rossa.

Enzo Ferrari non voleva italiani, non voleva ulteriori polemiche in caso di incidenti o di lutti, ma dopo tanti anni aveva voluto Alboreto, ed il milanese è stato un pilota importante nella storia della rossa. E’ arrivato nel 1984 e ci è restato fino al 1988, quando è morto il Drake. Se ne è andato da Maranello in silenzio, senza fare polemiche, anche se avrebbe avuto molto da recriminare, soprattutto dal punto vista tecnico e sportivo. Ma Michele Alboreto non è stato solo un campione con le vetture di Maranello, ha corso e vinto anche con le Porsche.
Sentir parlare Alboreto, durante una intervista o una conferenza stampa, aveva un significato particolare: mai banale, sempre cercando il perché delle cose e delle situazioni, a volte sarcastico nei suoi giudizi, a volte con una vena polemica, ma sempre garbata. Prima di essere un pilota era un uomo, sempre disposto a mettersi in discussione, ed a costruire un futuro.

La vittoria più grande di Alboreto è stata alla 24 Ore di Le Mans, nel 1997, con la TWR Joest, un risultato che lo lancia nella grande squadra Audi di Wolfgang Ullrich quando parte l’avventura del team tedesco.
La determinazione e la passione sono sempre state due costanti nella sua carriera: aveva ancora tanta voglia di correre, di ottenere ancora dei risultati come la vittoria a Le Mans e quella di Sebring del 2001, la sua ultima. Voleva conquistare ancora un’altra vittoria sulla Sarthe, proprio con quell’Audi che lo ha tradito.

Il suo casco era facilmente riconoscibile: blu intenso con la striscia gialla, gli stessi colori di Ronnie Peterson, l’idolo della sua gioventù, un pilota che come Michele non è riuscito a conquistare l’alloro mondiale, ma il cuore di molti tifosi, per come guidava in pista, per come sapeva essere un signore delle piste, proprio come Alboreto.
Michele Alboreto era questo, e tanto altro. Con lui è anche finita un’epoca, nella quale i piloti iniziano a correre per merito delle scuderie sportive, arrivano in alto, non per la valigia, ma per le proprie qualità, velocistiche e professionali. 
Riescono a fare sognare le folle al volante di una rossa, e continuano a fare i professionisti ad alto livello per molte stagioni ancora, senza mai arrendersi. Ma soprattutto finisce anche un’epoca dove i piloti sanno essere anche uomini, non solo delle star o dei semplici robot al servizio degli sponsor, e vengono apprezzati anche e soprattutto per questo.

Cosa sarebbe oggi il campione milanese è difficile da immaginare, con la sua voglia di correre e di aiutare i giovani piloti, se la sua vita non fosse stata prematuramente spezzata il 25 aprile 2001, quando la sua Audi, durante un test al Lausitzring prende il volo e si ribalta mettendo fine ad una storia difficilmente ripetibile.

- foto di RAUL ZACCHÈ - ACTUALFOTO e MASSIMO CAMPI -